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TITTA MARINI UN DISINCANTATO NATO VECCHIO ED ETERNO RAGAZZO


GIOVAN BATTISTA MARINI, detto TITTA nasce a Tarquinia. La famiglia è benestante e, alla morte del padre, il capitale è diviso tra i due figli. Titta, pigro convinto, vende la propria parte e quattrini in mano e nessuna voglia di lavorare, fa il signorino e si dà alla bella vita. La sua pigrizia era proverbiale, ma lo disturbava anche il lavoro altrui. Fonda il Fronte dell’Ozio i cui membri si chiamano “Ozzziosi”, con tre zeta, e ideano gesti dimostrativi come la pubblica fucilazione della vanga. Titta Marini aveva anche scritto un inno, “Innone” per l’esattezza, musicato dal maestro Franco Bisogni e nel quale si lodava la nullafacenza, che si cantava sbadigliando. Le trovate balzane di questo gruppo attirano l’attenzione della stampa internazionale e della Roma che “conta”. TITTA si trasferisce nella Capitale diventando un personaggio di spicco nei salotti dei Principi, Conti e Contessini come li chiama lui. Durante il soggiorno romano, TITTA MARINI riceve importanti riconoscimenti accademici. Nel 1963 gli è conferito in Campidoglio il “Lauro Tiberino”, unico poeta dialettale dopo Gioacchino Belli. Inutile dire che trova da ridire anche mentre è “Incampidogliato” e davanti alle massime autorità tirò fuori una delle sue battutacce. Vince anche il premio “Roma” sia per le poesie in vernacolo sia per le poesie in lingua, perché Titta non era solo un poeta dialettale. Nel 1976 è ammesso all’Accademia Culturale d’Europa. Inquieto come sempre, un bel momento si stufa anche di Roma e del successo e a metà degli anni sessanta torna a Tarquinia. Stravagante, non più giovane, un po’ apprezzato e un po’ deriso, fa parte del colore locale, compone le sue poesie dove capita, le declama ovunque e a chiunque. I suoi epigrammi, epitaffi o motti fulminanti sono dipinti a caratteri cubitali sulle pareti esterne dei casali, sui pilastri dei cancelli, spronando a volte gli altri a “rispondere”. In un casale scrive: “La terra è sempre la peggiore impresa, perché da vivo è bassa e da morto pesa” Il contadino Cinelli aggiunge firmandosi: “Ma io che la lavoro me so’ accorto, che pesa più da vivo che da morto”. Gli ultimi anni della sua vita sono amareggiati da malattie e numerosi interventi chirurgici, ma Titta Marini prende per i fondelli anche la morte, se la prende con il cielo “bestemmiando con cognizione di causa, da vero cristiano”. Dopo aver scritto il suo epitaffio muore il 25 luglio del 1982.

EPITAFFI

EPITAFFIO DER POETA (scritto per lui)
O passeggero, qui fra tante quiete,
‘sto morto senza er nome su la targa,
volenno, armeno adesso, un po’ de requie,
prega li vivi de passà a la larga.

DER PECCATORE
Siccome p’infognamme ner peccato
mo sto nel regno de la scottatura (inferno),
nun scocciate pe me Chi m’ha creato,
spatenostranno (pregando) su ‘sta sepoltura

A TRILUSSA
Visse cantanno, sempre applaudito,
tra fama e fame,
fin quanno er falegname
l’ha inchiodato nell’urtimo vestito (la bara).


AR CAVAJERE
Fu fatto pe’ la moje cavajere:
terra e corna je siano leggere.

A LA SOCERA
Da quanno che mi’ suocera qui giace,
lei…nu’ lo so, ma io riposo in pace!

A AVA
Qui s’ariposa Ava
che se vestiva quanno se spogliava

A L’ONESTA’
Questa fu l’onestà che, spesso in vita,
rubbò er sapone a mezza umanità.
Se vantò d’esse’ poi la più pulita

ALCUNE POESIE


PREGHIERA
O qui nato e incrociato,
eppoi risuscitato,
abbi pietà di noi. Se voi che sia finito
STO TRAN TRAN, STO CANCAN,
STO PIJA E LASCIA STA,
portete ‘n gloria ‘gni ora un governante
con tutti quelli che je stanno intorno,
e tielli stretti fra le braccia sante!

CROCEPUGNALE
Er Crocefisso tuo, Cristoggesù,
in mano a sto bordello generale,
nun se distingue più
se è ‘na croce o un pugnale.

BROCCOLI
Iddio disse ad Eva ed ad Adamo:
- bigna ragazzi mii, che lavoramo
Io v’arigalo ir monte, ir piano, ir greppo,
pe’ piantacce li broccoli cor zeppo –
E se Adamo non ebbe più riposo
fu perché li piantò co’ n’antro coso.

PARLA ER CECO MIRACOLATO
Ero ceco,
e Tu m’hai dato la vista, Gesù!
Ma nun vedo che abusi.
Quant’è mejo guardà coll’occhi chiusi.

VISTO CHE SO’ NATO
S’io morirò, visto che ormai so’ nato,
criticateme pure a tutto fiato.
Tanto svolazzerò ner Cielo in festa
e un baffo me farà chi ar monno resta.

LA BANDEROLA ARRUZZINITA
Er campanile fa a la banderola:
Tirano tanti venti
e nun te giri. Dimme, che te senti?
So’ arruzzinita, porca la matassa,
ma, se me capitasse chi m’engrassa,
m’abbasterebbe un’untatina, un gnente,
p’arivortamme come tanta gente!

MOSE’ E ER POPOLO
Mosè diceva ar popolo: Er bon Dio
m’ha dato pe’ le tre n’appuntamento
che riguarda noi tutti…è un testamento…
La gente fece: Ce verrò pur’io?
Mosè riprese: Ma…capite a volo!
Qui nun se tratta de papiè da cento…
Er popolo, ch’ha sempre un sentimento,
sfollò mentre strillava: Vacce solo!

FINALE TRAVOLGENTE
Indove guardo, tutto me dimostra
l’eterna marcia de la patria nostra
ricca de timbri e tasse, d’inni e sole
e de bande, bandiere e banderole

:dario:
Al.