00 27/03/2005 11:58
GERONIMO

Nato nel Giugno del 1829 alle sorgenti del fiume Gila, Arizona
Morto il 17 Febbraio 1909 a Fort Sill, Oklahoma


Geronimo, di sicuro il più famoso indiano del XIX secolo, con Toro Seduto, dovette trascorrere gli ultimi anni della sua vita in carcere a Fort Sill, Oklahoma. Fu qui che Geronimo raccontò la storia della sua vita all'apache Asa Daklugie che la tradusse all'ispettore scolastico S.M. Barrett e fu accolta dal ministero della guerra con un disagio tale che il presidente Roosevelt fu costretto a concedere personalmente il permesso di pubblicarla. Questa autobiografia, che apparve con il titolo Geronimo, la storia della sua vita, fu la base dei numerosi rifacimenti successivi. Permette di conoscere con maggior precisione anche la gioventù del capo apache ed è interessante in quanto per molti altri capi indiani non esistono notizie in merito. Geronimo nacque nel 1829 come figlio di un semplice apache, Taklishim, vicino alle sorgenti del fiume Gila, in Arizona. Il suo primo nome fu Goyathlay, finché i messicani non gli diedero il soprannome di Geronimo (Hieronymus). Talvolta i soldati americani chiamavano Victorio Old Vic e Geronimo, a sua volta, Old Jerome. Trascorse una gioventù spensierata con i suoi fratelli. Il paese dove allora abitavano gli Apache Bedonkohe era particolarmente fertile ed è quindi comprensibile che anche i bambini facessero qualche lavoro nei campi. A otto o nove anni Geronimo fu condotto a caccia, per la prima volta, non solo della solita selvaggina, ma anche del bisonte, che veniva inseguito a cavallo. Anche in seguito quando andò a caccia di orsi, le sue armi furono sempre ed esclusivamente lancia, arco e frecce. Gli Apache Bedonkohe ebbero pochi contatti con i bianchi, tanto che in gioventù Geronimo ebbe occasione di vedere al massimo, una volta, un missionario. I suoi primi rapporti più ravvicinati con i bianchi furono intrisi di profonda tragedia e sarebbero diventati determinanti per la sua vita futura. A diciassette anni fu accettato nel consiglio dei guerrieri e poté pensare, in qualità di membro effettivo della tribù, di sposarsi. Alope, una fanciulla apache che corteggiava da tempo, divenne sua moglie e gli diede tre figli creando così una giovane famiglia che viveva serena e felice. Quando Geronimo aveva circa trentanni fu colpito da un colpo del destino destinato a lasciare il segno non solo sulla sua vita, ma su tutta l'evoluzione storica del Sud-Ovest. Mentre nel 1858 prendeva parte a una spedizione in Messico dove i Bedonkohe andavano per concludere affari con commercianti sul confine, le donne e i bambini indifesi lasciati al campo furono attaccati da soldati messicani e uccisi senza pietà. Tra i morti si trovavano anche la madre, la moglie e tutti e tre i figli di Geronimo che, impietrito, rimase davanti ai corpi delle persone che erano state più care a lui.

Nel campo non vi era una sola luce, così mi allontanai, senza essere riconosciuto, e andai al fiume. Non so quanto tempo rimasi là, ma quando vidi che i guerrieri si radunavano per il consiglio, presi il mio posto.

Questo tragico avvenimento ebbe lo stesso effetto sulla vita di Geronimo di quello provocato dall'assassinio - circa un secolo prima - della famiglia di Logan, da parte di Daniel Greathouse". Un uomo pacifico si trasformò in un angelo vendicatore: da quel momento Geronimo odiò i Messicani con tutto il cuore e fece di tutto per placare la sua sete di vendetta e il suo comportamento ne fu l'angosciosa conseguenza. Bruciò la capanna in cui aveva vissuto con la sua famiglia, radunò tutto ciò che conteneva e si offrì come ambasciatore della sua tribù per chiedere aiuto alle altre per una giusta rappresaglia contro i messicani. Tanto fu il suo zelo durante questa "missione", che nel giro di pochi mesi riuscì a convincere tre tribù. Prima che i messicani potessero rendersene conto gli apache raggiunsero la città di Arispe e gli otto uomini che gli abitanti mandarono loro incontro furono uccisi a sangue freddo per provocare i militari. Subito uscirono due compagnie di cavalleria e di fanteria e con gioia rabbiosa Geronimo si accorse che tra loro vi erano anche gli assassini della sua famiglia. Scoppiò una battaglia furiosa che durò più di due ore e vide molti caduti da entrambe le parti. Geronimo combatté come un leone e, quando anche gli ultimi messicani si diedero alla fuga, fu nominato dagli entusiasti guerrieri capo sul campo. Nel corso di ulteriori numerose razzie nel Messico, che guidò personalmente, il suo nome divenne famoso quanto temuto. Inizialmente combatté come alleato di Mangas Coloradas e, dopo la sua morte, di Cochise, considerandosi da quel momento un apache Chiricahua. Geronimo più tardi sottolineò che gli Apache, specie durante la guerra di secessione, furono vittime di ogni tipo di misfatti da parte di canaglie bianche che, per evitare i rigori della legge, si rifugiavano nei territori di confine Dopo la campagna di Crook, Geronimo ritornò nella riserva. Ma dopo la morte di Cochise le cose si fecero insopportabili e quindi Geronimo lasciò la riserva, con circa ottanta guerrieri, e riprese la guerra contro gli americani e i messicani. Nella primavera del 1877, l'Agente della riserva di San Carlos, John P. Cium, riuscì a far prigioniero Geronimo. In realtà era stato proposto a Geronimo di venire a San Carlos e, credendo che si volesse trattare con lui, accettò, ma con suo grande stupore si vide disarmare e gettare in prigione e gli americani lo lasciarono di nuovo libero solo quattro mesi dopo. Questo discutibile modo di agire non era certo la cosa migliore per far entrare gli americani nelle simpatie di Geronimo. Nel settembre del 1881, circa settantacinque guerrieri apache lasciarono la riserva di San Carlos e si misero al sicuro in Messico, i loro capi erano Geronimo, Naiche e Juh. Ancora una volta un gruppo relativamente piccolo di apa che provocò il massimo allarme tra i militari e la popolazione civile, nonostante che il confine messicano fosse pattugliato in forze dall'esercito americano. Nell'aprile del 1882, quegli spericolati guerrieri riuscirono a tornare negli Stati Uniti, per spingere i loro fratelli nella riserva a unirsi a loro e quando ripartirono in direzione sud il numero dei loro guerrieri era salito a circa trecento unità. Il colonnello Forsyth, capo degli americani durante la battaglia di Beecher's Island, si mise all'inseguimento con un reparto di cavalleria forte di quattrocento uomini. Con una mossa tattica geniale, Loco, il capo degli Warm Springs Apache, pur con un occhio solo, impegnò la sua retroguardia in un combattimento con gli inseguitori, trattenendoli così a lungo da permettere a gran parte dei suoi guerieri di raggiungere il confine messicano. Qui caddero in un agguato del maggiore Lorenzo Garcia, che massacrò con i suoi duecentocinquanta soldati, donne, bambini e vecchi in fuga. Infuriati, i guerrieri misero al sicuro i superstiti e tornarono sulle montagne della Sierra Madre. I messicani proibirono a orsyth, che era sopraggiunto nel frattempo, di continuare l'inseguimento degli apache che fremevano per l'impazienza di vendicarsi. L'esercito americano, ben sapendo quale pericolo rappresentassero gli "Apache liberi", rinforzarono la guarnigione dei forti. Venne richiamato anche il generale Crook, che non aveva ottenuto grandi risultati contro i Sioux e gli Cheyenne. Convinto che continuare la guerra contro gli Apache fosse insensato, Crook ritenne meglio trattare con Geronimo, che chiamava "Tigre vestita da uomo", e con gli altri capi. Dopo molte difficoltà il corpo di spedizione di Crook riuscì a individuare e ad attaccare un campo apache nella Sierra Madre. Geronimo che stava tornando da una razzia contro i messicani, seppe che il campo era stato occupato, ma si disse comunque disposto a trattare con Crook. Geronimo, colpito dal modo di fare rozzo ma visibilmente onesto di Crook, accettò di tornare nella riserva e, nei mesi successivi, trattando con il capo Chaeto si impegnò a raccogliere ciò che rimaneva degli apache e condurli nella riserva di San Carlos. Con Crook tornarono alla riserva più di trecentocinquanta apache, con i capi Loco, Nana, Mangas Coloradas, Chihuahua e Bonito. Nel febbraio 1884 li seguirono anche Geronimo e Chato: era la riprova che il progetto di Crook aveva avuto successo. Per più di un anno regnò la pace, anche se turbata da una perfida compagna di stampa contro Crook e Geronimo. Si chiedeva la morte di Geronimo e si accusava Crook di aver capitolato di fronte a quel "diavolo". Non è ancor oggi chiaro il motivo che spinse Geronimo, Nana, Naiche e Mangas Coloradas a lasciare di nuovo la riserva, con un gruppo composto da oltre centotrenta persone, tra cui un centinaio di donne e di bambini, nel maggio del 1885. Poiché tutto avvenne dopo che era stato loro vietato un banchetto ai Fiswin, si disse che l'esclusione era legata all'eccessivo consumo di alcool, ma i veri motivi devono essere stati più complessi al punto che lo stesso Geronimo sostenne che si stava per arrestarlo e impiccarlo, ma che era stato avvertito per tempo. La stampa e il famigerato "circolo di Tucson" inscenarono una campagna d'odio, non appena vennero a conoscenza della cosa, e invocarono la guerra. Ma Crook prudentemente evitò di impegnarsi in una più vasta spedizione punitiva, pur assumendo altri scouts Apache per cercare gli Chiricahua che erano tornati nella Sierra Madre. Geronimo trasformò ancora il Sud-Ovest, con una manciata di uomini, in un inferno. Non è possibile ricordare tutte le imprese funamboliche degli Apache, ma ancora una volta migliaia di soldati, volontari e scouts, inseguirono un manipolo di guerrieri che puntualmente prendevano per il naso i loro inseguitori. Il battaglione indiano del capitano Crawford, composto da apache pronti a combattere contro i loro fratelli, riuscì, nel 1866, a chiudere Geronimo in una gola, ma prima che Crawford potesse attaccare, Geronimo e i suoi erano già scomparsi. Ma alla fine Geronimo e Naiche erano ormai disposti a trattare con Crawford, che però fu ucciso per errore, poche ore dopo, dai messicani e Geronimo, che non voleva arrendersi al sostituto di Crawford, riuscì a parlare con Crook. Due mesi dopo si giunse a un incontro alle sorgenti di San Bernardino e Geronimo si arrese con la condizione che, dopo due anni di carcere in Florida, avrebbe potuto tornare nella riserva. Con un po' di leggerezza Crook glielo promise, ma il suo superiore, generale Sheridan, mandò a monte i suoi piani e dichiarò nulla la condizione. Per di più, Geronimo e Naiche, dopo una bevuta, scomparvero e Crook fu di nuovo messo in croce. Lo si accusò di disattenzione, di mancanza di responsabilità e di eccessiva tolleranza e, il 1° aprile 1886, Crook, molto amareggiato, fu costretto a lasciare l'incarico di comandante del dipartimento dell'Arizona. Il suo successore fu il generale Nelson A. Miles, il vecchio nemico del Nez Percé Giuseppe, un ufficiale dinamico che cominciò a sparare con i cannoni anche ai passeri e sguinzagliò cinquemila soldati e cinquecento scouts indiani per inseguire Geronimo e i suoi guerrieri, ridotti a non più di due dozzine. Del resto uno solo dei guerrieri di Geronimo poteva impegnare un gran numero di avversari, come dimostra il seguente episodio: un gruppo di ottanta messicani aveva ferito un apache e ucciso il suo cavallo. Dal momento che i suoi compagni si erano volatilizzati, l'apache si nascose dietro una roccia e riprese a combattere contro i messicani, di cui ne uccise sette, e respinse gli altri per poi scomparire in montagna dove si riunì ai suoi. Questa caccia selvaggia si protrasse per mesi e Geronimo, Naiche e i loro guerrieri si segnalarono con veri e propri atti di eroismo contro la schiera di inseguitori che, tra volontari e messicani, erano ormai diventati più di diecimila. Il generale Miles si rivolse anche agli apache "addomesticati" e li mandò a cercare acqua a Fort Marion in Florida e tra loro si trovavano anche molti scouts dell'esercito senza il cui aiuto gli americani avrebbero fatto una figura ancora peggiore di quella già incassata. In agosto le cose stavano così: Geronimo era stanco di combattere e trattò con il luogotenente Gatewood, ma tutto quello che quest'ultimo poteva offrire era una capitolazione incondizionata e il trasferimento in Florida, dove gli apache avrebbero atteso le decisioni del presidente. Decisiva fu alla fine la notizia che comunicò Gatewood, quella cioè del trasferimento di tutti i Chiricahua in Florida, compresa la famiglia di Naiche. Geronimo e Naiche si consultarono e decisero di arrendersi. Il 3 settembre ebbe luogo, a Sheleton Canyon, l'incontro con il generale Miles che rese ufficiale la resa. Gli apache vissero in Florida in condizioni penose per otto anni e, nonostante la promessa di non dividerli dalle loro famiglie, Geronimo e i suoi guerrieri furono messi nella prigione di Fort Pickens, mentre le donne e i bambini furono mandati a Fort Marion. Otto anni dopo furono trasferiti a Fort Sill, in Oklahoma, dove nonostante lì vi fossero condizioni di vita migliori, anche se di poco, gli apache - che formalmente erano dei prigionieri di guerra - avevano una grande nostalgia del loro paese. Geronimo rivolse quindi un'accorata petizione al Presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt:

C'è un importante problema tra gli Apache e il governo americano. Per vent'anni siamo stati prigionieri di guerra in seguito a un trattato stipulato dal generale Miles per gli Stati Uniti e me come rappresentante degli Apache. Questo trattato non è stato rispettato dal governo anche se, con il tempo, le condizioni erano cambiate. Nel trattato con il generale Miles ci dichiarammo disposti ad andare in un territorio fuori dall'Arizona e a imparare a condurre una vita simile a quella dei bianchi. Ora credo che la mia gente sia in grado di vivere rispettando le leggi degli Stati Uniti e vorremmo riavere la libertà di tornare nel paese che ci appartiene per diritto divino. Ora siamo di meno, abbiamo imparato a coltivare la terra per cui non ci servirà tanta terra come avevamo prima. Saremmo contenti che i bianchi si accontentassero di coltivare la terra di cui noi non abbiamo bisogno. Dobbiamo rimanere nella terra dei Comanche e dei Kiowa che non è come quella che servirebbe a noi... La nostra gente diminuisce di numero e diventerà sempre meno se non potremo tornare in patria. Secondo me non esiste una terra e un clima che assomigli a quello dell'Arizona. Noi potremmo avere abbastanza terra da coltivare, abbastanza erba, abbastanza legna e risorse del sottosuolo se potessimo vivere nel paese che l'Onnipotente ha creato per gli Apache. E nel mio paese, nella mia patria, la terra dei miei padri, dove chiedo di poter tornare. Desidero trascorrere là gli ultimi giorni della mia vita ed essere sepolto tra quelle montagne. Se sarà possibile morirò in pace con la certezza che la mia gente vive nella sua patria e che diventeranno di più, anziché sempre di meno com'è adesso, e che il nostro nome non scomparirà. So che la mia gente vivrebbe in pace e si comporterebbe secondo i voleri del Presidente, se abitasse nella terra dell'alto corso del fiume Gila, tra le montagne del New Mexico. Sarebbero benestanti, felici di lavorare la terra e di imparare le regole civili dei bianchi, che ora rispettano. Se potessi vedere che tutto ciò si compisse, potrei dimenticare tutte le ingiustizie che mi sono state fatte e potrei morire come un vecchio uomo felice. Ma in questa situazione non possiamo fare nulla da soli, dobbiamo aspettare finché coloro che hanno il potere vorranno agire. Se non accadrà mentre sarò ancora in vita, se dovrò morire in schiavitù, spero almeno che dopo la mia morte, a ciò che rimane degli Apache sia accordato il privilegio di tornare in Arizona.

Il desiderio di Geronimo fu esaudito solo in parte, non poté infatti vedere il ritorno della sua tribù in prima persona. Il presidente Roosevelt, per il cui insediamento Geronimo si era recato a New York, fece la vana promessa che avrebbe parlato del caso alle autorità competenti, aggiungendo però di non nutrire molte speranze. A Fort Sill Geronimo era una grande attrazione per i visitatori, che osservavano con compiaciuto orrore il capo apache, muscoloso e di bell'aspetto, delle cui imprese eroiche e delle cui crudeltà si era molto raccontato. Ora era diventato un pacifico contadino, la cui moglie malaticcia si occupava della casa, pieno di amore e di orgoglio per i suoi figli e che amava scrivere lettere ai fratelli della sua tribù, nella riserva di San Carlos. Nel 1903 si era convertito al cristianesimo e tutte le domeniche andava in chiesa, indossando abiti eleganti. Nel 1905, Geronimo si sposò per l'ultima volta. Nell'estate dello stesso anno, il 1905, aveva preso parte all'ultima caccia al bisonte, organizzata come uno "show". Nel 1908 girò per qualche mese il paese con il Pawnee Bill's Wild West Show. Si racconta che vendesse i bottoni d'ottone della sua giacca, per 1 dollaro l'uno, come souvenir, e che l'astuto capo durante la notte ne riattaccasse di nuovi. Il 17 febbraio 1909, Geronimo morì in una piccola capanna, vicino all'ospedale di Fort Sill. Poco tempo prima era stato sorpreso durante una cavalcata dal maltempo e aveva preso una grave polmonite. Appena prima della sua morte fece mettere il basto e imbrigliare il suo cavallo, poi afferrò le redini. Alla sua morte il cavallo fu ucciso. Geronimo, l'ultimo grande capo guerriero degli Apache, poteva ora andare nei territori di caccia eterni. Le sue spoglie furono sepolte nel cimitero apache a Cache Creek e sulla sua tomba fu eretta una piramide di pietra la cui punta era sormontata da un'aquila.

Tratto da :
http://www.soffiodivento.it/GRANDICAPI/geronimo.asp