Forse accadrà
Forse accadrà. Attendete. E’ il silenzio, prima.
Non v’hanno dimenticato.
Voi non sapete che cosa vi attenda
Nelle zone delle ipotesi nebulose.
Guardate i lebbrosi che ritornarono puri,
i ciechi che riacquistarono il lume,
le donne più belle di quanto non avessero mai creduto,
le dimenticate che poi furono possedute
come dopo un atto di rinuncia.
Anche il figlio della Sunamita si ridestò.
Anche la suocera di Pietro costretta a letto,
ardente di febbre,
si alzò per servire gli ospiti –
per qualche parola che le era stata detta
e il tocco della mano del Signore.
E quei tempi stanno ormai per finire.
Il vento viene e va,
ritorna sui suoi passi.
Anche tu saprai
di non aver atteso invano.
Chaim Guri è considerato uno dei maggiori poeti israeliani viventi. Nato nel 1923 a Tel Aviv, nel 1947 è inviato in missione in Cecoslovacchia e in Ungheria dalla Haganà (l’organizzazione militare di autodifesa, nucleo del futuro esercito dello Stato d’Israele).
Nel 1949 pubblica il suo primo libro di poesie, Pirche' esh (Fiori di fuoco). La raccolta ha notevole risonanza, al punto che alcuni testi del poeta diventano parte integrale di cerimonie pubbliche in memoria dei caduti nella recente Guerra d’Indipendenza, o vengono musicati e raggiungono per questa via un vastissimo pubblico.
Fra le sue altre numerose opere vanno ricordate soprattutto la raccolta poetica del 1960, Shoshanat ha-ruchot (La rosa dei venti), che segna una svolta stilistica e un avvicinamento di Guri al linguaggio della lirica israeliana degli anni ’50 e ’60, e il romanzo Ha-sefer ha-meshuggà (Il libro folle, 1972).
Nel 1974 collabora alla produzione di un importante film storico-documentario sulla Shoà, L’ottantunesimo colpo. La sua intera opera poetica è stata ristampata recentemente in due volumi (199 .
A Guri sono stati conferiti i premi Bialik (1974) e Israel (198 per la poesia, i massimi riconoscimenti del mondo letterario israeliano.
( www.israele.net/letterat/guri.html )
Ascoltate....che dolcezza :
SUA MADRE
Molti anni fa, alla fine della Cantica di Debora,
udii il silenzio del cocchio di Sisera indugiante a venire,
mentre guardavo affacciarsi alla finestra la madre di Sisera,
una donna dai capelli striati d’argento.
Un bottino di ricami colorati,
colori e doppi ricami al collo delle prede, han visto le fanciulle.
Giaceva, a quell’ora, nella tenda come dormendo.
Molto vuote, le sue mani.
Tracce di latte sul mento, di burro e sangue.
Non si ruppe il silenzio contro i cavalli e i cocchi,
Anche le fanciulle tacquero a una a una.
Il mio silenzio toccò il loro.
Poco dopo il sole tramontò.
Poco dopo si spense il crepuscolo.
Quarant’anni riposò il paese.
Quarant’anni
non galopparono cavalli e cavalieri morti non fissarono gli sguardi vitrei.
Ma, morto da poco il figlio, ella morì.