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25/01/2005 07:22
 
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NOUS, LES ARTISTES



Tenere accanto al letto, sempre all’erta,
un calamaio di musica e di sangue
da intingere il pennino, e d’altro niente:
per scrivere va bene il pavimento
lo spazio di un lenzuolo, di un silenzio,
la notte che non vale una canzone:
il cielo sgombro di stelle, nascoste
dietro la luna, come per dispetto,
l’ispirazione che ci gira intorno
come un folletto, come una farfalla.
Noi siamo qua, noi, siamo sempre noi,
a masticare sogni avvelenati,
a sputare illusioni disperate,
a mescolare nelle nostre storie
spari alle tempie e baci sulla bocca,
noi, nel recinto dei senza vergogna,
ad aspettare visite e saluti
da chi ci tira in faccia, con affetto,
le noccioline e gli ottimi consigli.
Noi siamo qua: messeri di colori;
noi, siamo noi: signori saltimbanchi,
in attesa di applausi, di sorrisi,
d’insulti, fischi, di calci nel culo,
va bene tutto: un segno, una presenza,
purché tenga lontana la paura
di esistere e non essere sul serio
in questi spazi di vuoto e di tutto,
in questa solitudine affollata
di desideri e di parole al vento.


W a l k o


ADIEU ADIEU


Vengo da giorni
berberi, tuareg,
di migrazioni
fatte di partenze,
col capo sempre avvolto
in un lenzuolo,
riverberi del sole
negli specchi,
il sottofondo lento
e trascinato
di uillean pipes,
tamburi e violoncello
dans les voyages
de rien et de mirages,
memorie d'alto mare
fra le dune.

Vengo da giorni
blandi, trasandati,
di barba incolta
e capelli arruffati,
di sguardi stretti
d’occhi appiccicosi,
mucchi di fogli,
oggetti ed indumenti
dispersi alla rinfusa
nelle stanze,
le notti e i giorni
senza distinzione,
l'attesa di uno sparo
o di uno squillo;
what do you look in green,
what do you sing?

Vengo da giorni
lunghi, evanescenti,
di sentimento
ed anima carioca,
di bossa e samba
appena sussurrata,
mattini e pomeriggi
di saudade,
stanchezza, sigarette,
umidità,
nuvole di cotone nell'azzurro
da contemplare
attraverso un bicchiere,
zanzare di pensieri
e di ricordi
che pungono il silenzio
della notte
e non posso scacciare
con la mano.

Adieu, mon coeur,
adieu, douce anxiété,
adieu, douce apparence
d’éternité;
adieu, mon rêve,
adieu, mercy, de rien,
adieu, comment ça va?
Oui...oui… c’est bien…


W a l k o



MELACERBA


Non vi conviene
credere ai romanzi,
credere alle parole affascinanti
di chi s'inventa
una vita di carta.
Io, per esempio,
non sono rinsavito,
come racconta il finale
della storia:
passato è il tempo,
non so dire quanto,
ma sono sempre
lo stesso di allora,
io sono sempre lo stesso
di prima,
io sono sempre lo stesso
di sempre.
Semplicemente,
adesso sono solo,
perché anche il mio scudiero
mi ha lasciato,
insieme alla speranza
e al pentimento.
Ora giro nei boschi,
in mezzo ai campi,
senza fermarmi mai,
la notte e il giorno.
Il mio cavallo è vecchio,
cieco e zoppo,
è monca della punta
la mia spada,
la mia lancia spaccata
nel suo mezzo,
il mio scudo affogato,
sprofondato
o trascinato via
dalla corrente,
varcando un fiume
su un ponte di corde,
portando il mio cavallo
sulle spalle;
il mio elmo
l'ho dato a una ragazza
che mi ha concesso
un bacio sulla bocca
e una succhiata
dal suo seno caldo,
profumato di rosa
e melacerba.
Altro non ho,
né cerco, e neanche spero,
ma nonostante tutto
non mi arrendo;
proseguo,
non conosco la paura:
non mi spaventa il vento,
né la pioggia,
non temo gelo,
frastuono, silenzio,
né tempeste di grandine
o di sabbia,
né bufere di sangue
o di parole;
sfido la morte
in giochi di prestigio,
d'acrobazia e vario altro talento
e, non lo credereste,
ho sempre vinto;
non ho paura del buio,
della luce,
fisso negli occhi il sole,
molto a lungo,
sempre senza provare
alcun dolore,
e parlo con la luna,
con le stelle,
amo l'asfalto
e odio la mia ombra:
spesso la inseguo
quando mi precede,
spesso la fuggo
quando mi rincorre.
Ho fatto anche di peggio,
ma, lo giuro,
non m'importa più nulla
della gloria,
e giro al largo
dai mulini a vento.
Mi chiamano
Chisciotte de la Mancha,
ed è quello che sono,
solo questo,
ma avrei potuto essere
ben altro,
avrei dovuto essere
tutt'altro.
Avrei voluto essere
un eroe,
uno dei tanti:
Achille, Ajace, Ulisse;
avrei voluto,
avrei potuto avere
la forza, la bellezza,
la ricchezza,
anche più d'Ercole,
d'Apollo e Mida;
avrei potuto avere
la maestà
ed il segreto
della conoscenza,
anche più di re Artù
e di Merlino.
Non potendo trovarmi
fra le mani
queste virtù,
sono quello che sono,
perché un punto intermedio
non esiste:
fra tutto e niente
non c'è via di mezzo.
E forse, in fondo,
questo è il mio segreto:
avrei voluto essere soltanto
giusto quello che sono,
o ancora meglio,
quello che sono diventato adesso,
senza mulini a vento
da attaccare,
senza, con me,
la stupida saggezza
del benpensante Sancho
che mi affianca,
con quel suo ragionevole bagaglio
di lenti dubbi
e di vigliaccheria
che, nel confronto,
esalta il mio coraggio.
Ebbene sì, lo ammetto,
lo confesso:
tutto quello che sono
io l'ho scelto,
anche se a volte piango,
a volte urlo
il mio risentimento
e il mio rimpianto,
mi specchio
su pozzanghere di ghiaccio
e sputo sull'immagine riflessa.
Eppure,
nonostante tutto questo,
sono quello che sono
e me ne vanto;
quanto ai rimorsi,
è un altro discorso.
Non cerco Dulcinea,
non la rincorro
sulle strade che sceglie
per sfuggirmi;
spesso la sua presenza,
o il suo miraggio,
mi riempie l'orizzonte
del pensiero,
della stessa mia vista
e del ricordo,
però non la amo più,
non ne ho più voglia,
forse nemmeno fosse lei,
un giorno,
a venire a cercarmi,
ad inseguirmi,
come ho fatto con lei
per molte strade,
come ho fatto con lei
per troppo tempo.
Non tento neanche più
di sostituirla,
son quasi pronto
per un nuovo amore,
sebbene non lo cerchi
e non mi manchi.
Proseguo il mio cammino
d'ogni giorno,
senza voltarmi
e alzando alto nel vento
il mio stendardo
e la sua nuova insegna:
una clessidra,
simbolo del tempo
che passa sul mio viso,
sul mio corpo,
lasciandolo coperto
di ferite,
che passa sui pensieri,
sul mio cuore,
lasciandomelo intatto,
sempre uguale,
immacolato nella giovinezza.
Altro non chiedo
al tempo ed alla vita:
come non cerco
stima e compassione,
non cerco l'immortalità
di un gesto,
non cerco lo stupore
degli sguardi,
non cerco il mito, il sogno,
la fortuna,
così non cerco più
neanche un amore.
Per il momento
può bastarmi un bacio,
una vetrina spalancata d'occhi,
una cascata di capelli sciolti,
l'ebrezza di una voce
e di un sorriso,
un profumo di rosa
e melacerba.

Walko


POESIA URLATA A MEZZA VOCE

C’è voluta davvero
tutta la pazienza,
tutta la mia pazienza
ormai sfinita,
la mia costanza sfibrata
per arrivare in cima
a questo picco
ad osservare il deserto,
in questo vuoto di vento,
in questo assurdo pieno
di silenzio
lacerato da un urlo
senza fondo
di una gola bruciata
a mezza voce;
questo addentare con rabbia
e con disperazione
il marciapiede
sino allo spasimo
sino alle gengive;
questo sasso
precipitato dal buio
a fracassare la nuca
a tradimento;
questo ago
piovuto dal vuoto
a spaccare le vene
e il singhiozzo;
questo continuo incominciare
per finire;
questo infinito finire
per mai più
cominciare.

Walko


IL LINCIAGGIO


Questa poesia, così come "Svoltangolo del Cristo" e la già postata "Poesia Virgo la sia", appartengono alla mia raccolta "Astrascenti Verba" iniziata nel 2002 e tuttora in corso d'opera, la quale si caratterizza, specialmente nella sua prima fase, per un certo sperimentalismo strutturale, ossia riguardo metrica, ritmo ed anche sintassi e morfologia che in alcuni casi ho voluto reinventare appositamente a servizio del testo. Questo lo specifico per spiegare e motivare il perché delle variazioni continue in relazione al mio stile di scrittura, specialmente in poesia, anche per evitare spiacevoli equivoci dopo quanto recentemente avvenuto.



All'improvviso il viso acceso il suo
giovane madre jeansata la bimba
per mano occhioni blu scarpine il naso
un po' all'insù la mamma grida è lui!

Il viso all'improvviso impronta e pronta
esclama il dito il viso esclama e segna
lo riconosco è lui è stato lui
la passeggiata intera volta a loro

il volto e volta a lui lo sguardo guardo
lontano non capisco lui fa un passo
indietro e poi si volta è stato lui
la folla si raccoglie e corre in urlo.

Prendilo agguantalo
che non ci scappi
prendilo prendilo
brutto assassino
strappagli gli occhi
sfondagli il cranio
non ascoltarlo
sfracellagli il naso
strozzalo uccidilo
agguantalo prendilo.

Eccolo eccolo
dannato mostro
così giù colpi
il tacco sui denti
spaccagli in mezzo
la spina dorsale
via sulla spiaggia
alla riva del mare
tienilo abbassalo
annegalo affogalo.

Il nero lui la barba quasi bianca
il saggio lui il mago della pioggia
lui vecchio porco il guru della spiaggia
il Gesucristo della passeggiata

odori d'africane notti e sacchi
di perle colorate collanine
tappeti arrotolati ed acciarini
lui maledetto che ha fatto alla bimba?

La mamma tra i feroci si fa largo
è stato lui vi dico è stato lui
che la mia bimba in mare si perdeva
e me la salva un tuffo e la riporta.

_
W a l k o



I COMUNISTI

Una poesia a cadenza decennale: l'avevo appena abbozzata nel 1984 in forma di canzone, l'ho scritta nel 1994 e poi obliata, confusa e coperta da troppe delusioni e troppe vicissitudini; oggi nel 2004, al termine di un lungo periodo di riflessioni, di studi, di dolore e di rabbia, nel momento in cui diventa necessario e urgente attribuire il giusto significato a parole troppe volte usate a sproposito, con qualche minuscolo ritocco ecco questa poesia tornare alla piena luce nella stesura finalmente definitiva e finalmente di nuovo, interamente, mia.


I comunisti
si fermano per strada
a guardare la luna.
I comunisti
amano cantare
e qualche volta danzano
volando sulle note
di melodie soffuse
e canti popolari;
sovente si innamorano
anche già in là negli anni.
I comunisti
amano conoscere,
si impegnano a capire
cosa c'è dentro a un quadro,
a una canzone, a un libro.
I comunisti
hanno qualcosa
ancora da insegnare,
puoi leggere e capire il mondo
dagli anziani,
guardando i tagli
in quelle loro mani
che han stretto arnesi,
aste di bandiere,
mazzi di fiori
e canne di fucili.
I comunisti
con le loro mani
alzate nella notte,
sollevate nel cielo,
chiuse in un pugno
di riscossa e rabbia,
han dato schiaffi al vento
ed al dolore,
e hanno teneramente accarezzato
i propri figli, un sogno
e il loro amore.
I comunisti
riavvolgono la notte
nel velluto dei sogni
e in carta di giornale,
tra una bestemmia al vento
e una preghiera,
tra una cascata di ricordi
ed un bicchier di vino,
e riempiono il mattino
delle città nebbiose
o arroventate
attraversando l'orizzonte
in bicicletta.
I comunisti
son facili a commuoversi
e molte volte i loro duri sguardi
sanguinano di dolore
o commozione,
la loro voce inciampa
nel singhiozzo,
la loro rabbia di tuono
si fa muta.
I comunisti
hanno l'anima soffice
del bimbo,
hanno il cuore profondo
del vegliardo:
amano il mondo, amano la vita,
amano la bellezza e la speranza,
e non ammettono
che ci sia ingiustizia
e non sopportano
che ci sia dolore.
I comunisti
son rimasti i soli
a non confondere la dignità
col moralismo,
a non scambiare la libertà
col consumismo.
Molti si illudono
che i comunisti
viaggino ormai le strade del tramonto,
ma i comunisti
esisteranno ancora.
Noi, i comunisti,
esisteremo sempre!

_

W a l k o



I NUOVI EROI

Il nuovo secolo è arrivato in un baleno
imprevedibilmente,
per me come per voi;
il mondo nuovo non potrà fare a meno
ineluttabilmente
di nuovi eroi.

I nuovi eroi
non pensano,
non parlano,
agiscono.
I nuovi eroi
subiscono,
e non reagiscono
mai.

Studi e ricerche del secolo passato
non furono perduti,
per nostra buona sorte:
il gene eroico è stato individuato,
son pronti gli attributi
dell’uomo forte.

I nuovi eroi
non sognano,
non sperano,
connettono.
I nuovi eroi
si flettono,
e non lo ammettono
mai.

Sono già pronti, già ben indottrinati
dalle televisioni,
lavorano per noi;
son tutti belli, puliti e ben rasati
son giusti e sono buoni
i nuovi eroi.

I nuovi eroi
non bevono,
non mangiano,
si nutrono.
I nuovi eroi
faticano,
e non si stancano
mai.

Va tutto bene, le guerre sono sante,
coniugherà il domani
potere e libertà;
non più bambini tristi e mamme affrante,
ché sarà in buone mani
l’umanità.

I nuovi eroi
non cantano,
non fumano,
respirano.
I nuovi eroi
non amano,
e non scopano
mai.

Il nuovo secolo è arrivato in un baleno
imprevedibilmente,
però siamo tranquilli;
il mondo nuovo non potrà fare a meno
ineluttabilmente
degli imbecilli.

I nuovi eroi
non pisciano,
non cacano,
trattengono.
I nuovi eroi
non ridono
e non piangono
mai.

Walko






POESIA VIRGO LA SIA


Madonna degli inchiostri
se vai miracolando
intorno a questi boschi
di cemento
davanti a questo sempre
vai che ritorno d’acque,
se d’immaginatinto
bianco di cera il cero
il fioco d’ombre intorno
procurassi,
potrebbero chissà
come in eventi
eventualmente tattili
e visivi
scivolando dal ciglio
del ciglio tuo
interroganti gocce
anche parole
scivolar sul bianco?

Vergine degli inchiostri
che sai il male
di carte intonse
senza versi di sangue
e senza versi
di voce,
ascolta queste voci.

Che non importa nome
e provenienza:
si fa per dir di traccia
conosciuta
purché sia traccia
e non si straccia il detto.

Così poesia,
sia.

_

W a l k o




W a l k o



BYRON


" Tu non mi ami
e non mi amerai..."


Che cosa ho visto?
Ho visto la felicità
che metteva le piume,
la vanità e l'orgoglio
mutarsi in stravaganza.
Ho visto il sempre
nascondersi nel mai
ed il presente, adesso,
attraversare
il fiume del ricordo.
Ho visto coi miei occhi
lanciare in aria
il mazzo delle carte
ed infilzare
l'asso di denari,
in punta di fioretto.
Ho visto le città
piene di vita,
i boschi e le campagne
dal profumo di terra,
d'erba e muschio,
dall'odore di fango
e latte inacidito.
Ho assaggiato la notte,
il suo sapore,
dolce di ebbrezza,
amaro di spavento.
Ho visto troppe volte
la mia noia
travestirsi d'amore,
ho visto troppo amore
travestito di niente,
ho creduto di amare
troppe volte,
e forse, invece,
ho amato solo te.


" Tu non mi ami
e non mi amerai,
né posso darti torto... "


Che cosa vedo, adesso?
Il cielo greco
e le sue trasparenze,
limpido e immenso,
pieno del suo niente:
stanno sulle montagne
gli dei di Grecia,
non affollano il cielo.
Ma non ero venuto
ai piedi dell'Olimpo
a misurare il cielo
con lo sguardo.
Ero venuto
solo per la storia,
quella che cambia
al suono del cannone,
la storia che cammina
sulle strade
lavate con il sangue
che si versa.
Ero venuto qui
con la mia corte
di amici illusi
d'accompagnarsi al mito,
ad un mito che vive.
Ero venuto qui
con le oche, coi pavoni,
coi cavalli,
con un elmo piumato
che reca, inciso,
il motto "Crede Byron".
Ero venuto qui,
ritratto vagabondo
di me stesso.
E invece, adesso,
sbarrati gli occhi
sul vuoto del cielo,
amico Trelawny, amico Pietro,
amici cari di tante battaglie,
senza battaglie,
senza alcuna gloria,
poveri amici,
il mito sta morendo.


" Tu non mi ami
e non mi amerai,
né posso darti torto,
seppure è il mio destino... "

Addio amori, tutti,
addio per sempre.
Addio per sempre
belle mie parole,
addio ai miei occhi,
all'andatura incerta,
all'eleganza,
addio romanticismo.
La notte
sta scendendo
nei miei occhi,
ed anche il cielo greco
mi sfuma dallo sguardo
con tutti i miei ricordi,
con tutti i miei amori,
mille e più volti
insieme, sovrapposti,
e infine un solo volto,
uno soltanto: il tuo;
mille frasi d'amore,
sussurrate, da mille bocche,
ma non dalla tua,
perché tu,
forse solo tu,
non hai mai detto
- io ti amo,
Geordie, ti amo -
mentre la verità
è che avrei voluto
sentirlo dire, sai,
solo da te,
proprio così:
da te. Solo da te.


" Tu non mi ami
e non mi amerai,
né posso darti torto,
seppure è il mio destino,
a torto, forse... "


E mentre questa febbre
mi consuma le ultime forze,
le meningi ed il cuore,
mentre io chiudo gli occhi,
tu forse stai scherzando,
stai mangiando un bigné,
ti stai specchiando,
stai passeggiando
e forse stai ridendo,
ma non c'è neanche
un angolo di spazio,
neanche un momento,
per il mio ricordo.
E mentre sta scendendo
il sole all'orizzonte
nell'ultimo tramonto
dell'ultimo giorno
della mia ultima,
triste primavera,
tu non ci sei,
tu non mi sei accanto.
Ho tanto,
tanto sonno,
e tanto freddo.
Stammi vicino,
abbracciami, ti prego,
con il pensiero,
anche solo con quello.
Stringimi forte
per la prima volta,
per l'ultima volta,
per l'unica volta,
ma ti scongiuro:
non lasciarmi solo.
Non mi lasciare
morire da solo.


" Tu non mi ami
e non mi amerai,
né posso darti torto,
seppure è il mio destino,
a torto, forse,
amarti invano,
sempre. "
_
WALKO



LI STORNELLI DE’R TRESTEVERINO


scritti, sonati e cantati in collaborazione con Giovanna Riminucci alias Gio Girisper e Marco Giulio Fogliaroli alias Conroy Lenn


Trestevere me fa’ da testimone:
le donne qui so’ tutte belle e bone;
mejo de tutte quante Nannarella,
co’ ‘st’occhi neri e granni è troppo bella.

Conosco ‘n posticino a Villa Ada
che proprio nun se vede da la strada,
lì ce se po’ ’nfratta’ tra le fraschette
e soli soli, poi, gioca’ a tressette.

Pìjate ‘n po’ de sole, Nannarella,
e arza ‘n po’ de più ‘sta gonnerella:
pe’ er bene tuo, dài, butta via la spocchia,
sinnò te vie’ l’artrosi a le ginocchia.

Me sbajerò, ma a me ‘sto reggipetto
me sembra che te sta ‘n po’ troppo stretto;
dovessi mai portallo esploderebbi,
si fossi ‘n te io me lo leverebbi.

Nun te sto mica a chiede ‘sta gran cosa!
E dammela, nun fa’ la dispettosa!
Si me la dai c’avrò riconoscenza:
damme ‘na sigaretta ché sto’ senza!

E certo che so’ serio, che te credi?
E l’intenzioni mia, bhè, nun le vedi?
Ogni mio desiderio è manifesto:
io vojo la tua mano, e pure e’ resto.

Si nun me credi o si me credi a stento
te faccio ‘sto solenne giuramento:
si nun te vojo fa’ mia, tutta mia,
me possino cecamme e così sia.

A’r vecchio tuo je parlo quanto prima:
sta’ sempre a lavora’ de sega e lima,
c’andrò co’ fiori rossi a lunghi steli
appena ch’esce da Reggina Cieli.

A mamma tua je parlerebbe adesso,
però me tocca d’aspetta’ lo stesso;
dall’afa nun se vive quest’estate,
è annata a’r fresco: sta a le Mantellate.

Tu’ nonno me vo’ bene e nun se sbaja,
io lo saluto sempre: “ciao Zagaja!”
E lui me core appresso e me sta a urla’:
“te po…te po…te possin’ammazza’!”

Me sa che tu’ sorella Maria Pia
che c’ha er diploma ‘n dattilografia
nun batte mai a l’ufficio la mattina,
ma solo a notte su la Casilina

Siccome che me squajo da’r calore,
a quer fratello tuo che fa er pittore,
che va dicenno che manco te piaccio,
dije d’anna’ affa‘n cu…betto de ghiaccio.

Io t’amo senza soste e né riposo
però davanti a’r prete nun te sposo
io te ce portebbe ar municipio
si nun l’ho faccio è solo pe’ principio.

E tra un discorzo e l’antro finarmente
ce semo poi ‘nfrattati dorcemente
co’r cielo blu che ce facea da tetto
li prati verdi che facean da letto.

Ah Nannare’, m’hai fatto pure piagne
a me che nun me smovono le lagne
quanno m’hai detto “sai, so’ disperata,
so’ sterile!” Che d’è, te sei sbajata?

So’ già passati da quella giornata
tre mesi e Nannarella s’è ‘ngrassata
nun è ‘na panza da cura’ co’ diete
me tocca de portammela dar prete.

Trestevere me fa’ da testimone:
le donne qui so’ tutte belle e bone;
Oh Nannarella, che t’ho tanto amato
co’ ‘st’occhi neri e granni… m’hai fregato! _

W a l k o


Chiedo venia e licenza per gli eccessi e le birichinate verbali contenute nel testo seguente, che comunque ho scritto con puro spirito buffonesco e, si sa, ai giullari e proprio solo a loro veniva concesso persino di sputare in faccia ai sovrani.


GIULLARATA IN OTTAVA RIMA

Otto sillabe vergate
'n otto versi per ottava,
rime fluide e cadenzate
com'ai tempi si cantava
quanno, fusse laico o frate,
ciasched'omo poetava,
e l'Italia era un casotto,
mentr'adesso è un quarantotto.

Tempi belli, veramente,
sanza fiacca ipocrisia,
che 'l nimico malagente
si sgozzava per la via
come fusse men de niente,
conciochesiaccomessia.
Or l'offeso sta inchinato
'nanzi a chi gli ha 'l cul forato.

Sì 'l potente ha gentil scorta
de' castrati e degl'ignavi,
leccapiedi d'ogni sorta
con cipigli seri e gravi.
L'alma d'onne onor s'è morta:
peggio servi è d'esser schiavi,
ché lo schiavo c'è costretto,
ma chi serve è a suo diletto.

Che saran poi ‘sti cialtroni,
capintesta e dirigenti?
Oh, che? Tirano ceffoni?
Taglian dita? Spaccan denti?
Tardi e lenti, son poltroni,
parassiti inefficienti,
quest'è il male che ti fanno:
sola beffa, unico danno.

E siccome son giullare
e de' verbi fo alchimia,
prest'assai qui vo' cantare
pei signor di casa mia,
cui l'aruspice vo' fare,
messagger la mi' poesia,
per ancodie, per dimane
e onne tempo che 'l rimane.

Che a l'un frani una montagna,
su la zucca, che l'estingua;
l'una, mentr'al desco magna,
che si tranci via la lingua;
‘n'altra, che le s'accompagna,
che una macina la stringua
fin che schizzinole via
le budella, e così sia.

Pria che tali avvenimenti
portin essi a sepoltura
come è d'uopo agl'escrementi
nella sozza fognatura,
augurogli altr'accidenti,
nell'assai giusta misura
che bisogna a certa gente
che si crede onnipotente.

L'una, mentre va pensando,
le s'imbamboli 'l cervello;
altro, proprio giusto quando
stà giungendo in sul più bello,
venga, al che va copulando,
la paralisi all'augello;
altri l'occhi, per tormento,
caschino sul pavimento.

Per goduria vostra e mea,
che gli vengano i bubboni,
la pellagra e la piorrea,
guasti al fegato e ai polmoni
poi lo scolo, e la diarrea,
ed un crampo ne' coglioni,
e alle donne, maledette,
che l'esplodano le tette.

La sifilide li prenda,
gli si rompano i ginocchi,
la malaria che li stenda,
se li mangino i pidocchi,
l'emicrania che li renda
deboli, straniti e sciocchi,
e altri simili sprofondi
pria che vengan moribondi.

Valga certo tutto questo
pei potenti dei paraggi
quant'a quelli che nel resto
del Paese, co' lor paggi,
passan piano o a passo lesto
e vi lascian lor'oltraggi:
parlo de' politicanti,
fanfaroni governanti.

Valga ciò pei deputati,
saltafossi stravenduti,
cianciaballe patentati,
pei ministri sprovveduti
de' governi sciagurati,
sieno idioti ovver astuti,
valga ad essi, ad onne ore,
onorevol senz'onore.

Valga ciò pei magistrati,
pei notari e la sbirraglia,
papi, monsignor togati,
che sian vescovi o pretaglia,
cardinali, suore, frati,
stesse paste di canaglia
che per un soldo bucato
vendon Cristo sul mercato.

Valga pei presentatori
che dalle televisioni
più cazzate sparan fuori
più s'intascano milioni;
valga per i calciatori
miliardosi di palloni,
valga per i giornalisti
leccapiedi e servilisti.

Valga poi per i dottori,
medici, demiurghi, maghi,
gran chirurghi e professori
con le cliniche sui laghi,
ciarlatani ed impostori
che t'inculano e li paghi,
e se crepi non c'è guaio:
mai non paga il macellaio.

Valga ancora pei banchieri,
pei mercanti e gl'industriali,
valga per i finanzieri
che barattan capitali,
bottegai e faccendieri,
ricchi ed avidi maiali
che non pagano le tasse,
ma le chiedono più basse.

Valga pei sindacalisti,
leccaculi ed impostori,
brutta razza di arrivisti
prona innanzi a lor signori,
cui la pelle, già non visti,
vendon dei lavoratori,
poi si dicono innocenti,
brutta razza di serpenti!

Anche a tutta questa gente,
come agl'altri che già dissi,
che si nomina potente,
pria che come stocafissi
posino rigidamente
tra quattr'assi malinfissi,
vorria far gl'istessi auguri
che a quegl'altri, e anche più duri.

Qual giullare che motteggia,
che sberleffa e gira il piano,
augurogli che 'na scheggia
gli si ficca in una mano,
e che tosto una scoreggia
gli sfracella il deretano,
e che un rospo li ruini
poi che in occhi loro urini .

Fa che piova su lor teste
sangue, fango e ogni sozzura,
e che a certe loro feste
muti in vermi la verzura,
vino in piscio, e la lor veste
'n sacchi per la spazzatura;
che il tesoro lor si perda
trasmutando l'oro in merda.

Ben'allora, fuor di gioco,
si conosca, buone genti,
che a gettar acqua sul foco
si fa 'l gioco de' potenti,
ché i signori valgon poco
e con poco li spaventi:
per cacciarli in ritirata
basta appena una risata.

Dunque, via, siate orgogliosi,
non lasciatevi schiacciare,
siate forti e coraggiosi,
pronti a ridere e a cantare,
ma s'è 'l caso minacciosi
con chi vuole tracotare,
ché si nutre lor potenza
di terror e d'obbedienza.

Or che ottava è giunta a fine
di sua trama e di su' ordito,
a voi, genti al cor vicine,
non fo che l'ultimo invito:
pria che torni a le sue spine
d'ogni dì, v'ha divertito,
dunque sia grazioso e bello
vostro plauso al menestrello!


W a l k o


NINA


Nina Nine'
che il mondo è una finestra
e tutto il cielo chiuso
al quinto piano,
sciacquare i piatti,
biancheria al balcone,
bandiera al vento chiuso
dei cortili,
televisione, spesa, quattro passi,
a casa in fretta
prima che lui torni,
tanto silenzio
e mai una carezza.
Nina Nine'
che posso dire ancora?
Forze ca tiene
st'uocchie grande e scure
che 'e llagreme
te fanno balena’,
forze che quanno chiagni
si' chiù bbella?
Forse dirò
che in fondo è colpa tua,
che questa vita
te la sei voluta?
Sei tu che hai scelto
o è lui che ti ha ingannata?
Nina Nine'
magari potrei dire:
"forse domani
cambierà la storia,
fatti coraggio
e affila la speranza",
parole vuote,
senza qualità.

Ni’, dimme sulamente,
ddocemente,
ca tiene voglia
de durmi', sunna',
e po' scetarte, e ridere,
e cantà;
ca tiene voglia
de varda' 'sta luna
che chianu chiano
sale 'n coppa ‘o cielo;
ca tiene voglia
d'una birra fresca,
de fatte 'na panzata
'e maccherune,
d'esci', pe' ccamminà
sott' a 'sta chiova,
dimme ca tiene voglia
‘e scumpari’...
ma nun me di', Nine',
famme 'o piaciere,
ca tiene voglia
'e chiagnere…
'e muri'.

Nina Nine'
che una mattina si alza,
non va in cucina
e lascia il letto sfatto,
si pettina, si trucca,
fa un sorriso
e prende a calci
l'universo intero.
Nina Nine'
saprò che dire,
allora.

_

W a l k o

Canzone tratta dalla commedia musicale "Er Tevere racconta", che sto scrivendo da un paio d'anni e mai finirò.

Ambientazione: primavera 1848, festa de popolo a Testaccio pe' la promessa de nozze fra Lucrezia, sartina de Trestevere, e Nino, fruttarolo co'r banco a Porta Portese.

coro:
Daje, molla,
pija e tira
damme n’artra pastarella
bona questa e bona quella,
me ce vojo strafoga’
Stappa, mesci
versa e gusta
Vignanello e Cannellino
bianco, rosso che sia vino
me ce vojo n‘fracica’

Lucre’ quei occhi scuri che t’ha fatto
tu’ mamma quanno che t’ha mess’a’r monno
so’ tanto belli ma c’hanno ‘n difetto
nun domannate che mo ve risponno:
lei quanno m’ha guardato nun m’ha visto
sinnò fra tutti a me m’avrebbe scerto
si ce vedesse, e scusame s’insisto,
er fruttarolo nun se pijava certo
ché so’ er più bello de Roma e dintorni
e so’ mejo de Nino sissignori
e poi vendo farina pe’ li forni
mica cipolle e prugne e cavorfiori.

coro:
Daje, molla,
pija e tira
damme n’artra pastarella
bona questa e bona quella,
me ce vojo strafoga’
Stappa, mesci
versa e gusta
Vignanello e Cannellino
bianco, rosso che sia vino
me ce vojo n‘fracica’

Attento farinaro a quer che dici
sinnò poi va a fini’ che quarche giorno
me scordo ch’eravamo tant’amici
te trovi drent’a ‘n sacco e poi a’r forno

A Ni’ qua stavi e nun me n’er’accorto

sinnò s’avrebbe cucita ‘sta bocca

me la riempivo, vedi che c’hai torto:
fiori de zucca e quattro sartimbocca!

E invece è tutta ‘n’antra la traggedia
Lucre’ co’ ‘st’occhi bassi, e c’hai fregato
ché timidella co’ ‘sta tua commedia
te sei pijata er mejo de’r creato.

coro:
Daje, molla,
pija e tira
damme n’artra pastarella
bona questa e bona quella,
me ce vojo strafoga’
Stappa, mesci
versa e gusta
Vignanello e Cannellino
bianco, rosso che sia vino
me ce vojo n‘fracica’

Levàti i sordi pe’ le pagnottelle
a venne ‘sta farina che guadagni?
si nun ce stesse Ni’ co’ le cipolle
me vòi di’ poi co’r pane che ce magni?

Che magnerebbe, mo t’ ‘o dico io:
er fegato se magna e solo quello
ché bello dice d’esse più che un dio
ma ‘ntnto er tempo core e lui è zitello.

Si nun trovo ‘na donna a la mia artezza
io nun c’ho corpa e ovunque la cercai

tu provala a cerca’ ne la monnezza
chissà che ce la trovi, hai visto mai?

coro:
Daje, molla,
pija e tira
damme n’artra pastarella
bona questa e bona quella,
me ce vojo strafoga’
Stappa, mesci
versa e gusta
Vignanello e Cannellino
bianco, rosso che sia vino
me ce vojo n‘fracica’

M’avete messo ‘n mezzo e che v’ho fatto?
Me sembra d’esse er caprone ‘spiatorio
ce lo sapete che io poi m’abbatto
de crepacore vado a l’obbitorio

Oh, nun me fa’ ‘sto scherzo propri'adesso
che ‘r fruttarolo è uscito da’r mercato
si schiatti me fai piagne a più nun posso
e lì confesso che t’avrei sposato!

Rega’, avet’ ascortato che s’è detto?
Pur’io ce so’ fra tutt’i testimoni!

Mo che succederà? Dio benedetto!

Faremo festa a due bei matrimoni.

coro:
Daje, molla,
pija e tira
damme n’artra pastarella
bona questa e bona quella,
me ce vojo strafoga’
Stappa, mesci
versa e gusta
Vignanello e Cannellino
bianco, rosso che sia vino
me ce vojo n‘fracica’
Canta, balla
salta e ridi
batti er tempo co’ le mani
nun ce frega de’r domani
qui volemo festeggia’
Magna, danza
godi e strilla
viva i vini generosi
viva noi, viva li sposi
poi sarà quer che sarà.

_

W a l k o



Ciao[SM=g27811] [SM=x515520]


[Modificato da danzandosottolaluna 25/01/2005 7.28]



25/01/2005 08:02
 
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NOUS, LES ARTISTES
E' la mia preferita[SM=g27821]

[SM=x515520] Mamy, GRAZIE d'averle portate anche qui[SM=x515520]



Silvano, arrivederci dove nascono i Sogni[SM=x515524] [SM=x515519]


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25/01/2005 10:08
 
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Aggiungi queste altre che, a suo tempo, io avevo raccolto......


UNA DOMENICA UN PESCATORE


Domenica trasforma
in pescatore
di pesci d'acqua dolce
l'uomo stanco
di navigare in acque
amare e fonde
tra guai problemi
nodi e complicanze
tra l'inquilina
forse un po' distratta
che non paga l'affitto
da tre anni
e la sua fidanzata
un po' assillante
che lo incatena
giorno dopo giorno
così fugge
dalle acque amare e fonde
una domenica
che lo trasforma
in pescator di pesci
d'acqua dolce
e per tre volte
scende sulla riva
dove la sera
indugiano coppiette
punto del fiume
dove l'amor osa
e getta dentro al fiume
la morosa
e getta dentro al fiume
l'amorosa
e getta dentro al fiume
l'amo rosa.





LAVORI IN CORSO


Mi trovi in questo spazio
ricavato
con anni e sforzi
di scavi profondi
nella terra nel marmo
nel cemento
di giorni e di momenti
e situazioni
colpi del tempo
tra lo scavo e i crolli
aggiornando il registro
dei lavori
metri cubi di spazio
e le tue mani
partite vuote
ritornate piene
da lavori ultimati
sempre in corso
quando ogni istante
passa sopra al cuore
come un aratro
o come una cometa
e si fa il punto
poi si ricomincia
spazzando via
detriti e pentimenti
fino alla costruzione
di una nicchia
dove mi trovi adesso
in questo spazio
di nuovo paradiso
provvisorio
dove la luce
si specchia nel buio
ogni momento
libertà entusiasmo
ogni momento
abisso spalancato
dove tu puoi gettare
le tue mani
come memorie
o come salvagenti
come un pretesto
o come una ragione
per chiedere
per farsene ragione
partite piene
ritornate vuote
quando tornano ai polsi
le tue mani.



LA COPPIA

Come dentro un bicchiere
di sambuca
quando si scioglie una scheggia
di ghiaccio
si avvolge la serata
in un fine giornata
di soliti non so
ognuno gode come vuole
o può.

Accendono qualunque
trasmissione
purché sia video
luci colorate
o affidano speranza
all'aleatoria danza
che alterna rosso nero
e la verde illusione
dello zero.

Si chiudono nei circoli
salotti
nelle auto buie
su strade illuminate
altri cantano in coro
un vespro un ossimoro
nel silenzio assordante
di un monastero
di un ottovolante.

La coppia lei e lui
la donna e l'uomo
senza parole
musica richiami
gli occhi leggono gli occhi
spalle fianchi ginocchi
il già stato e l'adesso
giocano il gioco
magico del sesso.

Lei si è sfilata calze
sentimenti
pizzi ricordi intimità
stagioni
nuda senza difesa
sul linoleum distesa
ha un sussulto un sospiro
il gioco spezza e accelera
il respiro.


Lui si è levato pantaloni
ombre
camicia e turbolenze
di pensieri
e si abbandona al gioco
febbre favola fuoco
lei geme e lui al fianco
gocciola amore
sul linoleum bianco.



AZZERAMENTO


Attraverso grovigli
di strade
di palazzi cortili
intervalli di campi
coltivati a girasoli
o granturco
macchie di oscurità
fra lampioni e finestre
e altri occhi
di luce giallastra
spalancati sul vuoto
di una notte distratta,
vanno a coppie
intrecciate
ombre stanche
e indecise
abbracciate in un tango
in un bacio
in un soffio
di promesse e scommesse
d'una cosa
che certi,
i poeti gli ingenui
e gli illusi,
han chiamato
col nome di
amore.

COSE DEL CONFINE

Qualcosa è che è successo
o la superficialità
di un'apparenza
intrinseca esteriore
quanto si vuole
quando si vuole
quando non si può evitare #
la punta dell'iceberg rovesciato
dove la base o l'apice
è lo stesso
fa lo stesso
se il cuore
gira intorno al vuoto
e di vuoto
si nutre il pensiero
e questo non è sentimento
semmai metastasi
di sentimento #
dietro a un angolo
lo spazio di ventanni
leggerle un diesis disperso
nel fondo di una calza
in un surplace di nylon
agitarla attentamente
leggerle fortemente
le istruzioni
prima dell'uso
prima dell'abuso #
desiderio rinuncia
occhi bocca sorriso
immagine panchina
gambe incrociate
le sue forme sinuose
che piacciono tanto
agli uomini
ai pazzi ai poeti
ai tastieristi privi di musica
alla musica
dei sensi dei silenzi
da misurare e spargere
col contagocce
sulla bocca sugli occhi
sulla metastasi del sentimento #
matita che danza
sintesi chemio-cuore
per il vuoto che resta
ed il resto che cambia
che gira se gira
sopra intorno al pensiero
che gira nel vuoto
tra il vuoto
del cuore.

ANCHE SE COME SEMPRE
( A VOLTE NON LO SI DIREBBE )


Troppo rapidamente forse
scivolo acrobatico
in precario equilibrio
sulle parole sui pensieri
sul filo
con un ombrello aperto
sulla valanga
di nuove emozioni
poco romantiche
vagamente algebriche
magari disarmoniche
come note gettate alla rinfusa
tra pieghe delle mani
e di lenzuola
lasciate ad asciugare
nella nebbia
appese al filo
di un discorso incompiuto
come un poema discusso
senza troppo trasporto
da una critica
disinvolta e distratta
perduta fra le nuvole
e gli oggetti
dimenticati dentro ai ripostigli
oppure straripati dai cassetti
pieni di cose vecchie
vecchi di cose nuove
e fuori posto
come un capostazione ferroviario
aggrappato o a cavallo
di un aliante impazzito
che vola intorno al centro
dell'universo visibile
e a volte immaginario
come il futuro di ieri
quasi straordinario
affogato in un oggi qualsiasi
in un qualsiasi momento
di stasi e riflessione
su questo insolito nulla
e al di fuori del nulla
solo un nuovo cinismo conquistato
un algido sorriso acquistato
al prezzo di troppa lontananza
e senza più residuo di speranza
eppure nonostante tutto questo
ti amo come sempre
anche se come sempre
a volte non lo si direbbe.

GLI UOMINI NON SONO TUTTI UGUALI


Gli uomini non sono tutti uguali
però sembrano tali
se mescolati insieme alla rinfusa
nell'amalgama del tutto indistinto
ad uno sguardo sfuocato ed arreso
dalla distanza ed alla superfice
o dalla prospettiva ingannatrice
che oscilla fra la scienza e il pregiudizio
per cui gli uomini sono tutti uguali
fasci di nervi muscoli ironia
impalcature ossee ideali
vasi sanguigni grumi culturali
che vanno nella stessa direzione
con gli stessi affanni
imprigionati da una gabbia di anni
si corteggiano e dopo si respingono
si rincorrono e dopo si allontanano
scambiandosi e infliggendosi a vicenda
premi senza merito
condanne senza colpa
ritorni sempre privi di partenze
illusioni di assurde appartenenze
tutti lasciati andare alla speranza
di qualche imprecisato cambiamento
tutti uniti e dispersi
talmente uguali da essere diversi.




COSI' VEDO I TUOI OCCHI


Occhi di brace
occhi alla brace
al forno in tegamino
con contorno abbondante
di patate affogate
in salsa di ricordi
ricami e rime
fantasia di prosciutto
vario formaggio fuso
sciolto come i tuoi occhi
che colano sulle guance
gocciolano dal mento
sul seno sodo e poi
sul pavimento:
così vedo
i tuoi occhi.
Così
vedo i tuoi occhi:
incollati ad un video
teleschermo gigante
di colori e di storie
vaghe ed artificiali
storie d'amore supposte
e reclame di supposte
aspirine e sapone
che deterge
e profuma la pelle
dentifrici e assorbenti
mescolati col sangue
di una storia non vera
di spari a fior di labbra
rosa cronaca nera
tutta piena di amore
di assassini e sospiri.
Così vedo i tuoi occhi:
come un giro di vite
come vite rifatte
lotterie silicone
sensazioni di vetro
fissi contro il tramonto
di sogno e di cartone
che racconta di viaggi
ed isole palmate senza vento
avventure di sale
sottintesi palesi
di promesse lascive
di erotismi e vacanze
tra bagagli ed odori
di sudori e di stanze.
Così vedo i tuoi occhi:
come il vento che taglia
i tarocchi e le vene
la linea dell'ombra
la coda delle sirene
e ti toglie il respiro
ti regala uno stile
l'ora del grido
emozioni di plastica
e ardimenti del turbo:
vorrei farti l'amore
e invece ti masturbo.
Ti masturbo con gli occhi
con parole aggrovigliate
attorcigliate al sasso
che getto nello stagno
dei tuoi occhi
ed alle frecce
come dei segnali
che scoccano dall'arco
delle sopracciglia
sui tuoi occhi di brace
i tuoi occhi alla griglia.



L'ULTIMO CAFFE' APERTO

Appena due parole
son bastate
impastate di note imbrogliate
perché la caffetrice
dalle tette giganti
e la parrucca
biondo accidentale
con un gesto teatrale
sciogliesse un po' di trucco
sulla faccia
e appoggiasse le braccia
sul bancone schiumoso
dei ricordi di birra
così donando all'ultimo arrivato
un sorriso insaccato
e le sue labbra secche
per un povero bacio
dal sapore di cacio.



UN VALZER SI TROVERA'

(Valzer di Parole)


Zum
pappà
zum
pappà
zum
pappà
zum
pappà
zum
pappà
zum
pappà
zum
pappà
zum
pappaffù
mano due ciminié
re
nel cielo della città
pappazzùm
pappavvò
lano due capiné
re
o pipistrelli chissà
rattazzùm
pappà
zum
pappà
zum
pappà
zum
pappasvén
tolano panni sté
si
due gonne due calze blu
pappazzùm
pappannèl
l'aria odori sospé
si
d'erba gasolio e ragù
rattazzùm
pappà
zum
pappà
zum
pappà
zum
pappassùl
le panchine del vià
le
i vecchi fermi stan là
pappazzùm
pappaccòn
un ombrello e un giornà
le
finché il tramonto verrà
rattazzùm
pappà
zum
pappà
zum
pappà
zum
pappaddiùn
aereo la pancia gri
gia
si vede passar di lì
pappazzùm
pappazzùn
uomo con la valì
gia
cerca e non trova un tassì
rattazzùm
pappà
zum
pappà
zum
pappà
zum
pappassò
gnano due carcerà
ti
la via della libertà
pappazzùm
pappaslì
ttano due innamorà
ti
verso la cattività
rattazzùm
pappà
zum
pappà
zum
pappà
zum
pappaddàn
zano due muratò
ri
sopra un ponteggio lassù
pappazzùm
pappallà
bimba annaffia due fiò
ri
due gocce cadono giù
rattazzùm
pappà
zum
pappà
zum
pappà
zum
pappaccà
dono giù nella strà
da
piena di gente che va
pappazzùm
pappattàn
to dovunque si va
da
un valzer si troverà
pappazzùm
pappazzùn
valzer si trò
verà
zan zan.


[SM=x515571] Walko






25/01/2005 13:08
 
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Sì, Paolo...[SM=x515520]



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Stella di Sshhh...
26/01/2005 13:12
 
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Vi fa un grande onore questo onorevole tributo all'amico.[SM=g27811]


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01/08/2005 19:01
 
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Era così tanto che non visitavo questa sezione che...non avevo letto
questo omaggio bellissimo[SM=g27816]

Grazie[SM=x515516] [SM=x515524]

Ciao Silvano...sei in ottima compagnia lassù tra le Stelle...[SM=x515636] [SM=x515523]
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Giovani promesse
12/08/2005 23:25
 
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Un'eco deandreiana personalizzata con arte finissima.[SM=g27811]
09/09/2005 01:31
 
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13/03/2006 11:27
 
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Re:

Scritto da: orcomansueto 12/08/2005 23.25

Un'eco deandreiana personalizzata con arte finissima.[SM=g27811]




[SM=g27811] [SM=x515531]
23/12/2006 15:30
 
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[SM=x515520] [SM=x515658] [SM=x515520]

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