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16/08/2004 13:47
 
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IL FALSO



La falsità (1) è dunque, secondo la definizione, la simulazione in peggio di fatti e di parole. La persona falsa è quindi uno che quando incontra i suoi nemici si mette a parlare con loro e non mostra il suo odio. Egli loda in faccia chi di dietro ha fatto a pezzi ed esprime la sua partecipazione a chi ha avuto la peggio [in un processo]. Mostra indulgenza con chi sparla di lui e per le brutte cose dettegli contro. Con le persone che hanno subito un torto e sono arrabbiate, parla in modo mite. Se uno ha premura di parlargli, gli fa dire di passare in un altro momento (2). Nulla fa sapere di ciò che sta facendo, ma dice che ci sta ancora pensando; fa sempre finta di essere appena arrivato, di aver fatto tardi, di non sentirsi bene. A coloro che lo pregano di un prestito o fanno una colletta, dice di non essere ricco (3), se vende (4) dice che non vende, se non vende dice di vendere. Qualunque cosa abbia sentito, nega; qualunque cosa abbia visto, dice che non lo ha visto, se ha fatto un'affermazione, dice di non ricordarsene. Di certe cosa ora dice che ci sta pensando, di altre che non sa bene, di altre che è proprio una sorpresa. di altre che quella era proprio la sua idea. Soprattutto egli è specialista nell'usar frasi del genere «non ci credo», «non capisco proprio», «sono stupefatto», «sei tu a dire che la cosa è andata diversamente», «questo a me non lo ha proprio detto», «la cosa mi sembra paradossale», «vallo a raccontare ad un altro», «proprio non mi è chiaro se non devo credere a te o se devo far torto all'altro», «stai attento a non dar fiducia troppo rapidamente!».
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1) I titoli nell'originale indicano non la persona ma la caratteristica astratta; per antica tradizione si usa però tradurre nel tipo di persona descritta; in questo caso il titolo originale è "eirõneia" che però nulla ha a che vedere con la nostra "ironia". È piuttosto l'arte di simulare, ma solo ai fini della propria tranquillità; noi diremmo forse che siamo di fronte ad una persona non impegnata. La prima frase è di difficile comprensione: forse Teofrasto vuol dire che questo tipo di persona accetta di essere stimato uomo da poco pur di non impegnarsi.
2) Ovviamente per potersi preparare
3) Altri leggono "dice di non essere in grado di..".
4) O, più genericamente, "se fa affari".






L'ADULATORE



L'adulazione potrebbe definirsi un comportamento riprovevole che giova all'adulatore. L'adulatore è una persona che trovandosi in compagnia di un altro dice: «Hai notato come la gente ti guarda? Questo nella nostra città non capita a nessuno salvo te; ieri sotto i portici (1) ti hanno lodato». E continua dicendo che più di trenta persone erano là sedute ed era caduto il discorso su chi fosse il cittadino migliore; e dal primo all'ultimo tutti avevano concordato su lui ed il suo nome. Così dicendo gli toglie un filo dal mantello e se per il vento gli finisce una pagliuzza fra i capelli, la toglie via e dice sorridendo: «guarda, in due giorni che non ti ho incontrato, hai la barba piena di peli bianchi, eppure per la tua età hai ancora capelli neri come nessun altro» . E quando Lui (2) inizia a parlare, l'adulatore subito impone agli altri di tacere, poi lo loda quando sa di essere udito ed esclama «giusto, verissimo», quando Lui finisce di parlare; egli ride di una sua freddura e si preme il mantello sulla bocca come se non riuscisse a frenare il riso. Quando incontrano dei passanti li fa fermare finché Lui sia passato. Ai bambini di Lui compra mele e pere, le porta con sé e le regala loro quando Lui può vederlo, li bacia e poi esclama «Frugoletti, che padre d'oro avete!» . Va con Lui a comperar le scarpe e dice che egli ha un piede più elegante dei sandali. Se Lui va in visita, l'adulatore corre avanti (3) e dice: «Ecco, Lui viene da te» e poi torna indietro per dire «Ti ho annunziato». Naturalmente si affanna anche per fare per lui compere al mercato delle donne (4) [e gli fa la spesa e noleggia flautiste (5)]. Quando sono a tavola è il primo a lodare il vino e continua a ripetere «quanto è squisito da te il vino» e prendendo qualche cibo dalla tavola esclama «ma quant'è buono!». E poi gli domanda se sente freddo, se non vuol coprirsi un po' di più e se per caso non gli deve mettere indosso qualcosa. Così dicendo si china verso di lui e gli mormora nell'orecchio e guarda verso di Lui rapito, anche se sta parlando con altri. In teatro toglie i cuscini di mano allo schiavo e li accomoda lui stesso sotto al compagno. E poi dice che la Sua casa è una bellissima costruzione, che i Suoi poderi sono come un giardino, che il Suo ritratto è parlante.


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1) Lo stoà di Atene, detto loggiato o portico del Pecile, era famoso.
2) Il testo usa il termine autòs (lui, esso stesso), impiegato dagli studenti per indicare il maestro o dai servi per indicare il padrone.
3) Compito riservato ai servi.
4) Parte del mercato ove gli uomini, salvo gli schiavi, comperavano di rado.
5) Testo presente solo in alcune versioni.





IL DIFFIDENTE



La diffidenza è un sospetto di disonestà verso tutti e il diffidente è uno che manda uno schiavo a comperar provviste e un altro schiavo dietro, per scoprire quanto le ha pagate. Egli porta da sé il danaro (1) e a ogni stadio (2) si mette a sedere e conta per vedere quant'è. Alla moglie, quando sono già a letto, chiede se ha chiuso lo scrigno dei soldi, se la cassa del vasellame era stata chiusa e se è stato messo il catenaccio alla porta del cortile; ed anche se lei lo conferma, egli si alza tutto nudo dal letto e scalzo, con una lanterna in mano, corre tutt'in giro e controlla tutto, tanto che riesce appena a dormire. Dai suoi debitori va ad incassare gli interessi con testimoni, così che essi non possano negarglieli (3). Il suo mantello non lo da al miglior cardatore, ma a quello che ha un buon garante. Quando uno va a chiedergli in prestito delle coppe, se può rifiuta, se si tratta di un parente o di un amico, glielo presta solo dopo aver fatto la prova del fuoco (4), averlo pesato e quasi aver ottenuto per esso un garante. Lo schiavo che lo accompagna non lo fa camminare dietro, ma sempre davanti a lui per evitare che se la svigni per strada. Se qualcuno ha comperato da lui una cosa e chiede: «Quanto fa? Segnalo nel libro che ora non ho tempo», riceve come risposta: «Non prenderti la noia di mandarmi il denaro; ti accompagno io finché tu abbia trovato il tempo» .
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1) Di solito esso veniva affidato allo schiavo.
2) Poco meno di duecento metri.
3) I testimoni potranno confermare la sua intimazione di pagare
4) Forse per far controllare che non avevano già lesioni. Alcuni correggono in modo da leggere "dopo avervi inciso il suo nome a fuoco"; soluzione ragionevole se si considera che queste coppe, se venivano pesate, dovevano essere di metallo.







IL VILE



La viltà è una debolezza dell'animo dovuta a paura e il vile è quello che viaggiando per mare scambia gli scogli per navi di pirati. Appena si alzano un po' le onde comincia a chiedere se fra i passeggeri non ci sia qualcuno impuro (1). Poi va dal pilota e vuol sapere se tiene la rotta bene in mezzo (2) e come gli sembra che si metterà il tempo. Al suo vicino dice di essere in ansia per via di un sogno che ha fatto; poi si toglie la tunica (3) e la dà allo schiavo e poi supplica di essere scaricato a terra. Sul campo di battaglia quando la fanteria deve attaccare, chiama tutti vicino a sé e comanda che tutti si schierino attorno a lui e dice che è così difficile riconoscere quali siano i nemici. Se ode clamori e vede qualcuno cadere, dice a chi gli è attorno che per la smania [di combattere] ha dimenticato la spada, corre alla tenda, manda fuori lo schiavo con l'ordine di vedere dove sia il nemico, nasconde la spada sotto il capezzale e perde un sacco di tempo facendo finta di cercarla. Se dalla sua tenda vede portare un compagno ferito, corre da lui, gli fa coraggio e lo trasporta lui stesso. Poi lo cura, gli lava le ferite, si siede accanto a lui, scaccia le mosche e fa qualsiasi altra cosa piuttosto che combattere contro i nemici. Quando la tromba dà il segnale d'attacco, egli rimane seduto nella tenda e dice «alla malora (4), costui non lascia dormire il poveretto con tutto il suo strombettare» . Macchiato del sangue delle ferite altrui, va incontro a quelli che tornano dalla battaglia e racconta come da un grande pericolo «io ho salvato uno dei nostri amici!» e fa entrare nella tenda dal ferito i compagni di paese e di tribù e ad ognuno racconta come sia stato lui stesso a portarlo con le sua mani nella tenda.
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1) E quindi portatore di sventure o menagramo.
2) Cioè lontano dalla costa e dagli scogli.
3) Per nuotare meglio in acqua; tutte azioni contraddittorie.
4) In greco «in malora ai corvi»; come dire «vai sulla forca» .

Da "I CARATTERI" di TEOFRASTO*

*
Teofrasto nacque attorno al 371 a. C. in Efeso, sull'isola di Lesbo, e fu il principale allievo e collaboratore di Aristotele, di cui ne continuò la scuola dopo la morte, nel 322 a. C. Morì a 85 anni, circa nel 287 a. C.
L'opera che lo ha tramandato ai posteri sono "I Caratteri", scritta dopo il 319 a. C. ed assistita da costante fortuna nel corso dei secoli.
Per noi è fonte preziosa di informazioni sulla vita quotidiana ad Atene nel IV secolo e, a parte le notevoli qualità artistiche, documento culturale prezioso per farci comprendere l'immutabilità dell'animo umano e l'inevitabità dei suoi vizi e delle sue passioni, nel corso dei millenni.


17/08/2004 08:43
 
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Il MALDICENTE



La maldicenza è un'inclinazione dell'animo a parlar male e il maldicente è uno che alla domanda «Il tale che tipo è?» risponde come fanno gli scrittori di genealogie con un lungo catalogo: «Prima di tutto voglio rifarmi alla sua origine. Suo padre originariamente si chiamava Sosia; fra i soldati divenne Sosistrato e dopo essere stato iscritto nelle liste dei cittadini diventò Sosidemo (1); la madre però è una nobile donna di Tracia o, almeno, la brava donna si chiama Crinocoraca (2). E se uno si chiama così, nel loro paese vuol dire che uno è nobile, almeno così si dice. Il tale stesso, come ci si può aspettare da una simile razza, è un fannullone farabutto». E nella sua malignità dice ad un altro: «Io me ne intendo, a me non la puoi dare a bere». E poi passa a far la rassegna: «Donne di questi tipo strappano in casa i passanti dalla strada» e «Questa casa è una di quella dove si allargano le cosce; e questa non è una battuta, come suol dirsi, ma quelle lo fanno come i cani per la strada» e «Insomma, poche parole, sono trappole per uomini» e «Quelle fanno entrare di persona stando sulla porta del cortile» . Se anche altri già sparlano, egli interviene e rincara la dose e dice: «Io odio quell'uomo più di ogni altro. Già al solo vederlo è ripugnante. La sua cattiveria gli fa ricercare i suoi simili. La prova: a sua moglie, che pur gli ha portato alcuni talenti in dote, ha assegnato tre miseri soldi di rame per la spesa solo dopo che gli ha partorito un figlio (3) e nel giorno di Poseidone la costringe a fare il bagno con l'acqua fredda (4)» . Quando siede in compagnia di altri, se uno si alza e se ne va, comincia subito a parlare di lui e, quando ha preso l'avvio, non si trattiene più e si mette a diffamare anche i suoi parenti. E di solito parla male anche dei propri parenti, degli amici, dei morti; il diffamare lo chiama libertà di parola, democrazia, libertà e questo è per lui una delle cose piacevoli della vita. ]

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1) Sosia era tipico nome di schiavo e poteva essere arrivato a fare il soldato e poi ad iscriversi tra i cittadini solo con maneggi poco chiari.
2)Le donne tracie erano di solito schiave o cortigiane; oscuro il gioco di parole sul nome Crinocoraka (bianca come il giglio - nera come il corvo). Forse era nome da cortigiana.
3) Dopo la nascita del figlio la dote sarebbe rimasta comunque in famiglia
4) La festa cadeva in dicembre.


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18/08/2004 01:28
 
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[SM=g27811] Ottimo lavoro...[SM=x515568]
merita uno dei cari vecchi applausi di grande pubblico:

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[SM=x515515] [SM=x515515]


[SM=x515585]





Accadono cose che sono come domande.
Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.
A.Baricco
18/08/2004 02:53
 
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Lo leggerò con calma, ma sulla fiducia
deduco sia un lavoro di Fine fattura

Intanto un [SM=x515523] [SM=x515519] [SM=x515520]
29/11/2004 09:30
 
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Tra umorismo e facezie : L'Uso della Parola!




IL CIARLATANO



Il ciarlare è un buttar fuori discorsi lunghi e sconsiderati;
e il ciarlatore è un tale che, a uno che non conosce, gli si pone a sedere accanto e, in primo luogo, gli tesse l'elogio della propria moglie, poi gli racconta il sogno che ha fatto la notte, indi gli passa in rassegna, a uno a uno, tutti i cibi che ha mangiati a pranzo;poi, se la cosa va avanti con successo, si mette a dire che la gente d'oggi è molto più cattiva di quella d'una volta, e che le granaglie si sono vendute in piazza a buon mercato, e che in città vi sono molti forestieri, e che a cominciare dalle Dionisie il mare è navigabile; e che se Zeus manderà pioggia più abbondante, i prodotti della terra saranno migliori, e che per l'anno nuovo vuol coltivare un campicello, e che la vita è difficile, e che Damippo alla festa dei Misteri ha dedicato la fiaccola più grande, e quante sono le colonne dell'Odeon; ed ancora:
«Ieri ho vomitato» e «Che giorno è oggi?».
E se uno ha la pazienza di sopportarlo, non si stacca più, e dice che nel mese di Boedromione ricorrono i Misteri, nel mese di Pianepsione le feste Apaturie, nel mese di Posideone le Dionisie campestri.

Ed invero, se uno vuole che non gli venga la febbre, deve fuggire lontano da codesta gente a braccia sciolte e gambe levate: giacché è gran fatica riuscire a tener testa a chi non sa distinguere tra ozio ed occupazione.






IL LOQUACE


La loquacità, se si volesse definirla, parrebbe essere intemperanza nel parlare; ed il loquace un tale che, se gli si fa incontro uno, quale che sia l'argomento di cui questi si metta a discorrere con lui, afferma che dice sciocchezze e che lui sa tutto e che, se lo ascolterà, avrà da imparare; e nel bel mezzo della risposta incalza:
«Hai detto? Non dimenticare quel che stai per dire», e
«Hai fatto bene a ricordarmelo», e
«Quanto è utile, dico io, il chiacchierare!», e «Quello che tralasciavo di dire», e
«Certo, sùbito hai capito la faccenda»,
e «Da un pezzo ti osservavo, per vedere se tu giungessi alla mia stessa conclusione»; e trova altri appigli del genere, così che il suo interlocutore non riesce nemmeno a prender fiato.
E quando ha ridotto allo stremo i singoli interlocutori, è capace di volgersi perfino contro persone raccolte in massa e radunate, e di costringerle alla fuga nel mezzo delle loro contrattazioni.
Ed entrato nelle scuole e nelle palestre, impedisce che i ragazzi vadano avanti nell'apprendimento, facendo chiacchiere a non finire con gli istruttori di ginnastica e con gli insegnanti. E se qualcuno dice di volersene andare, è capace di accompagnarlo e di ricondurlo fino all'uscio di casa.
E se viene a conoscenza degli affari discussi nell'assemblea, li va propalando e per di più narra anche la battaglia che ebbe luogo allora, quando era arconte Aristofonte, e la battaglia affrontata dagli Spartani per iniziativa di Lisandro, e con quali discorsi abbia guadagnato grande fama presso il popolo.
E mentre tesse questi racconti, vi intramezza invettive contro le masse, così che gli ascoltatori o perdono il filo del discorso o dondolano il capo sonnecchiando o se ne vanno piantandolo a mezzo.
E quando siede tra i giudici, impedisce di giudicare; quando è a teatro in mezzo al pubblico, impedisce di vedere; quando è tra i convitati ad un banchetto, impedisce di mangiare, dicendo che per un uomo loquace è difficile tacere, e che la lingua sta nell'umido a bella posta, e che non riuscirebbe a star zitto nemmeno se dovesse parere più chiacchierino di una rondine.
E sopporta di essere canzonato perfino dai suoi figlioletti, quando questi, volendo ormai dormire, lo sollecitano dicendo: «Babbuccio, chiacchiera un po' con noi, perché ci prenda il sonno».




IL RACCONTA-FANDONIE


Il raccontar fandonie è un costruire discorsi e fatti non corrispondenti a verità, secondo il capriccio di chi racconta le fandonie; e chi racconta fandonie è un tale che, quando incontra un amico, assumendo sùbito un atteggiamento disteso e sorridendo, gli chiede: «Di dove vieni?», e «Racconti ... che cosa?», e «Come? Sai dirmi una novità su questa faccenda?». E come incalzando dice: «Credi che non si dica nulla di nuovo? Eppure sono buone le notizie che si raccontano».
E, senza dargli il tempo di replicare, soggiunge: «Che cosa dici? Non ti è giunto niente all'orecchio? Credo proprio che sarò io ad imbandirti le ultime notizie».
Ed ha sempre lì pronto qualcuno arrivato fresco fresco dal campo di battaglia, o un soldato o uno schiavo di Asteio il flautista o Licone l'appaltatore, dal quale dice di aver sentito il fatto.
Le fonti dei suoi racconti sono sempre tali che nessuno potrebbe farsele scappare di mente. 6 Racconta, dunque, asserendo che queste persone così dicono, che Poliperconte ed il re hanno riportato la vittoria in battaglia e che Cassandro è stato preso prigioniero.
E se qualcuno gli ribatte: «E tu credi a queste chiacchiere?», risponderà di sì, considerato che il fatto, a suo dire, è conclamato in tutta la città, che la voce si fa sempre più insistente e che tutti i dati concordano, giacché della battaglia si raccontano le medesime cose; ed aggiunge che vi è stato un bel guazzetto di sangue.
Dice che per lui un chiaro segno sono anche i volti degli uomini di governo, giacché in tutti questi vede mutata l'espressione del viso. Racconta, inoltre, di aver sentito dire che in casa di quelli si nasconde un tale, che già da cinque giorni è arrivato dalla Macedonia e che è ben informato di tutti questi fatti.
E nel narrare ogni cosa per filo e per segno - che cosa immaginate? - esprime la sua compassione in maniera convincente esclamando:
«Infelice Cassandro! Povero sventurato! Vedi la ruota della fortuna? E pensare che era un uomo potente!».
E mentre dice: «Soltanto tu devi saperlo», è già corso poi a dirlo a tutti in città.
Di uomini di tal genere io mi stupisco, e mi chiedo che cosa mai si prefiggano con le loro fandonie: giacché non solo raccontano panzane, ma se n'escono anche senza profitto.
Ed invero, spesso, alcuni di loro ai bagni pubblici, mentre radunavano crocchi intorno a sé, ci hanno rimesso i vestiti; altri, poi, dopo aver vinto sotto i portici battaglie per terra e per mare, hanno perduto le cause per non essersi presentati in tribunale; vi sono infine di quelli, ed in grandissimo numero anche, che, mentre a parole facevano conquiste con la forza, sono rimasti senza pranzo.
Molto misera, invero, è la loro condizione di vita: e difatti, quale portico v'è mai, quale bottega, quale punto della piazza, dove non trascorrano le loro giornate facendo venir meno i loro uditori? Fino a tal punto li spossano con le loro fandonie.






02/12/2004 15:34
 
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QUELLO CHE VUOL ESSERE GRADITO



La smania di rendersi utili è, per definizione, una forma di condotta rivolta a compiacere, ma non nell'interesse di chi agisce. Il compiacente infatti è uno che saluta l'amico da lontano, lo chiama «illustrissimo» e lo tratta con ammirazione. Lo prende con entrambe le mani e non lo molla più, lo accompagna per un tratto, gli chiede quando potrà andarlo a trovare e si congeda con molti complimenti. Convocato a far da arbitro, vuol essere gradito non solo a quello che lo ha nominato, ma anche alla controparte, per apparire imparziale. Sostiene che i forestieri giudicano in modo più giusto dei cittadini (1). Quando è invitato ad un pranzo, vuole che l'ospite chiami i suoi bambini e quando entrano dichiara che assomigliano al padre come una goccia d'acqua (2), e alcuni li chiama a sé e li copre di baci e gioca con loro a «otre e scure» (3) e lascia che gli altri si addormentino sulla sua pancia, anche se ciò, naturalmente, lo schiaccia. Va dal parrucchiere in modo esagerato, ha sempre i denti bianchi, cambia spesso di mantello, così da apparire sempre pulito, e si cosparge di profumi. Al mercato si mette vicino ai banchi dei cambiavalute [molto frequentati], nel ginnasio si mette dove si allenano i ragazzi, in teatro, se vi è spettacolo, siede vicino agli strateghi (4). Per sé non compera nulla, ma per i suoi amici non risparmia: per quelli a Bisanzio olive, per quelli a Cizico cani spartani, per quelli a Rodi miele dell'Imetto, e poi lo racconta a tutta la città. Naturalmente è capace di tenere in casa una scimmia o di comperarsi un uccello raro, colombe siciliane, dadi di osso di gazzella, fiale ben tornite per creme da Turio, bastoni ritorti da Sparta, un tappeto con intessute figure persiane o di avere una piccola palestra con la sabbia o uno sferisterio. Queste le lascia poi a disposizione dei filosofi, dei sofisti, degli schermidori e dei musicanti per le loro rappresentazioni e lui stesso arriva tardi, così che uno spettatore possa dire a quello sedutogli vicino: «è lui il proprietario della palestra».(5)
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1) Testo poco chiaro; forse intendeva dire che dice ciò ai forestieri.
2) In greco si diceva «come un fico» .
3) Gioco sconosciuto, ma che certamente corrisponde al gioco di prendere il bambino, alzarlo in aria e poi far finta di lasciarlo cadere a terra.
4) Le principali autorità di Atene.
5) Alcuni assegnano questa frase al carattere XXI



LO SPUDORATO



La spudoratezza (1) è l'insistere in azioni e parole vergognose; lo spudorato è quindi uno che giura come niente fosse, è malfamato, tira accidenti ai potenti; per carattere è un uomo da piazza, un esibizionista (2), uno capace di tutto. Per lui è del tutto naturale ballare il cordace anche se non ha bevuto e danzare senza maschera nei cori comici (3). Negli spettacoli dei saltimbanchi va in giro a chiedere la moneta di rame ad uno ad uno e poi litiga con quelli che [non] hanno il biglietto (4) e vogliono guardare gratis. Fa il taverniere, il ruffiano, il gabelliere e non rifiuta alcun traffico per quanto riprovevole, ma anzi per lui è cosa naturale fare il banditore, il cuciniere, il giocatore d'azzardo, lasciar morire di stenti la madre, farsi acchiappare sul fatto come ladro, passar più tempo in galera che a casa. Fa parte della categoria di quelli che raccolgono attorno a sé persone e le sobillano, sbraitando, lanciando improperi, discutendo, e la gente un po' si accosta per sentirlo, un po' se ne va senza dargli retta. Ma lui ad uno dice l'inizio del discorso, ad un altro una mezza parola, ad un altro ancora un'altra parte della questione e crede che tutta la sua arroganza spicchi solo se lo circonda l'intero popolo della festa. È uno di quelli che ora intenta un processo come attore, ora è citato come convenuto, ora se la cava con una dichiarazione giurata, ora compare con la capsula dei documenti in seno e un fascio di scritti in mano. Non ha ritegno a dare incarichi a più gente da piazza (5) e subito dopo di far loro prestiti, pretendendo per una dracma tre oboli e mezzo al giorno (6); e dopo batte le osterie, i banchetti del pesce fresco e del pesce salato e infila nelle guance le monete raccolte come interessi.
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1) Letteralmente "la mancanza di senno".
2) Parola di significato incerto; o chi solleva il vestito , ma anche il sobillatore.
3) Non è chiaro se si intende persone con biglietto omaggio oppure senza biglietto.
4) Il cordace era una danza sconcia, confacente solo ad ubriachi
5) Non è chiaro a che soggetti ci si riferisca
6) Vale a dire il 25 per cento al giorno!


L'ARRAFFONE IMPUDENTE


Questa passione consiste, per definirla, nello spregio della propria reputazione per desiderio di un vile guadagno. E l'arraffone è così spudorato da andare a richiedere un prestito prima di tutto a chi ha già fregato una volta [....]. Quando sacrifica agli dei, va poi a mangiare in casa d'altri e la sua carne la mette sotto sale. E porta con sé anche il suo schiavo, gli serve la carne e il pane che prende dalla tavola altrui e gli dice anche «Dai, Tibìo, [mangia] e che buon pro ti faccia!» Quando va a comperare la carne ricorda al macellaio di quella volta che gli fece un piacere. Si mette vicino alla bilancia e dopo la pesata ci butta sopra ancora una giunta di carne o almeno un osso per il brodo e se gli va bene, meglio, altrimenti agguanta ancora un pezzo di trippa dal banca e scappa sghignazzando. Per conto dei suoi ospiti (1) compra un posto a teatro e poi va con loro a guardare, senza pagare la sua parte e il giorno dopo ci porta anche i figli e il pedagogo. Se qualcuno ha comprato a buon prezzo, pretende di entrare a far parte dell'affare. Va poi in casa d'altri a prendere in prestito ora orzo, ora paglia, e costringe costoro, se la rivogliono, ad andarsela a riprendere a casa sua (2). È persino capace nei bagni pubblici di andare alle tinozze di rame, di riempirsi da solo una brocca, tra le grida di protesta del bagnaiolo, e di rovesciarsela da solo addosso, dicendo che ormai ha fatto il bagno. E quando se ne va gli dice ancora: «Che fai, offendi anche? allora la mancia te la sogni! ».
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1) Ovviamente con i loro soldi
2) Alcuni intendono "e pretende che glieli portino a casa sua".



IL TIRCHIO


La tirchieria è il risparmiare esageratamente in tutto ciò che ha a che fare con gli averi . E il tirchio è quegli che già a metà del mese si presenta già alla casa del debitore per incassare un mezzo obolo [d'interessi]. In una tavolata [alla romana] conta quanti bicchieri ciascuno ha bevuto e fra tutti gli ospiti è quello che fa l'offerta più piccola a Diana. Se alcuno ha comperato per lui qualche cosa a buon prezzo e gli dà il conto, egli sostiene che è ancora troppo caro. Se uno schiavo gli rompe una vecchia pentola o una scodella, gli riduce il vitto per rifarsi. Se sua moglie dovesse perdere una monetina, è capace di mettere sottosopra tutto l'arredo e di perquisire letti, casse e veli (1). Se vende qualche cosa, mette un prezzo così alto che l'acquirente ci ricava ben poco. È chiaro che non permetto a nessuno di raccogliere fichi dal suo orto, di passare per i suoi campi o di raccogliere una sola oliva o un solo dattero caduti dai suo alberi. Ogni giorno va a controllare se le pietre di confine sono ancora al loro posto. Dai debitori pretende gli interessi per ogni ritardo e gli interessi sugli interessi. Quando gli tocca di offrire il banchetto [del proprio demo], taglia la carne a pezzettini già prima di servirla. Se va a comperare la carne, torna a mani vuote. Alla moglie vieta di imprestare sale, lucignolo, cumino, origano e neppure orzo né bende né pasta per i sacrifici e le dice: «Anche queste piccolezze, alla fine dell'anno fanno un bel po'» . [In somma, le casse dei tirchi sono ammuffite, le chiavi arrugginite, essi portano vestiti più corti delle gambe, si ungono con ampolline piccolissime, si tagliano i capelli a raso, a mezzogiorno vanno ancora scalzi e litigano con i lavandai perché usino molta argilla e le macchie non tornino fuori] (2)
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1) Alcuni correggono veli in fessure del pavimento.
2) Frase di incerta attribuzione, omessa in alcuni testi.


IL MALEDUCATO


Non è difficile definire la maleducazione che è un modo di scherzare grossolano ed urtante. Il maleducato è uno che per la strada incontrando una signora, alza il mantello e lascia vedere le vergogne. In teatro applaude quando gli altri ascoltano e fischia gli attori che gli altri gradiscono. E quando in teatro vi è silenzio, si stira e rutta per far voltare gli spettatori. Quando il mercato è pieno, si piazza vicino ai banchetti delle noci, delle coccole di mirto o delle altre frutta e spilucca, mentre ciarla con i venditori. E i presenti li chiama per nome anche se non li conosce. Se vede qualcuno andare di gran fretta, lo ferma. Se uno ha appena perduto un processo importante ed esce dal tribunale, va da lui e si congratula. Compra da mangiare solo per sé, noleggia una flautista e poi mostra a chi incontra i suoi acquisti e li invita (1). Se va dal barbiere o dal profumiere, racconta che si vuol ubriacare. [Se la madre va da un indovino, le rivolge parole di malaugurio. Nelle preghiere getta via il bicchiere per le libagioni e ride come se avesse fatto una prodezza. Quando gli suonano il flauto è il solo a battere le mani e accompagna canterellando e se la prende con la flautista perché ha smesso presto. Vuol sputare oltre la tavola e colpisce il coppiere.] (2)
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1) Forse solo per scherno.
2) Brano di incerta collocazione, assente in alcuni testi, in altri posto in fine al carattere XIX, ma con poca correlazione con il resto.


L'INOPPORTUNO



L'essere inopportuni consiste nel fare cose nel momento sbagliato, così da risultare molesti per la gente e l'inopportuno è uno che va a raccontare le cose sue a chi ha da fare. Alla sua amata va a far la serenata quando essa ha la febbre. Ad uno che è stato condannato a pagare la garanzia [fatta per un altro], gli si rivolge e gli chiede di fare da garante per lui. Dovendo fare da testimonio, compare quando la causa è già decisa. Invitato a nozze, parla male del sesso femminile (1). Uno che è appena arrivato da un lungo viaggio, lo invita a fare una passeggiata. Arriva con un compratore disposto a pagar di più, quanto la vendita è già conclusa. Quando la gente [nell'assemblea] ha sentito e capito tutto, egli si alza e comincia a spiegare tutto da capo. Volentieri si immischia in faccende di altri che non vorrebbero, ma che per pudore non possono zittirlo (2). A coloro che stanno sacrificando e quindi hanno affrontato spese, va a chiedere gli interessi. Quando uno schiavo viene frustato, interviene e racconta che un suo schiavo una volta si era impiccato dopo essere stato picchiato in tal modo. Quando partecipa a un collegio arbitrale attizza la lite fra le due parti che già intendevano accordarsi. E quando decide di ballare va ad acchiappare uno che non è ancora brillo.
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1) Al banchetto di nozze erano presenti, eccezionalmente e ad un tavolo separato, le donne.
2) Cioè fa delle gaffes e, due frasi dopo, il menagramo.



L'IMPICCIONE ZELANTE


Certamente l'impicciarsi appare come una certa esagerazione nelle parole e nelle azioni a fin di bene; l'impiccione è quindi uno che si alza e promette ciò che non può mantenere. Se tutti sono d'accordo che una cosa è giusta, solleva obiezioni e viene contraddetto. Ordina allo schiavo di preparare [nel cratere] più vino di quanto i suoi ospiti possano bere. Va a dividere i litiganti che neppure conosce. Si offre volontario per indicare una scorciatoia e poi non è capace di trovar la strada. Si presenta al comandante e gli chiede quando intende schierar le truppe per la battaglia e gli chiede quale sarà la parola d'ordine per doman l'altro. Va dal padre e gli dice che la madre già riposa in camera da letto. Quando il medico ha vietato di dare vino all'ammalato, lui dice che vuol provare a curarlo proprio con esso. Se muore una donna [nella sua famiglia] egli scrive sulla lapide, oltre al suo nome, il nome di suo marito, di suo padre, di sua madre, e di che paese essa era e vi aggiunge anche che erano tutte persone rette (1). E quando deve prestar giuramento egli dice ai presenti: «ho già giurato tante volte in passato, io!»
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1) Di solito si metteva solo il nome del marito e, ovviamente, non si parlava dei vivi come se fossero già morti.



LO SVENTATO


La sventatezza (1) è, secondo la definizione, una torpidezza dell'animo nelle parole e nelle azioni e l'insensato è quindi uno che fa i conti con le pietruzze, tira le somme e poi chiede al vicino «Qual è il risultato?» . Sebbene sia citato in un processo e intenda comparire, se ne dimentica e va nei campi. Se va a teatro, rimane lì da solo addormentato. Quando ha mangiato troppo e si alza di notte per andare al cesso, si sbaglia e viene morsicato dal cane del vicino (2). Se ha ricevuto un oggetto e lo ha riposto egli stesso, poi lo cerca e non riesce a trovarlo. Quando gli si annunzia che un suo amico è morto e che deve andare da lui, si commuove, piange e dice «tanti auguri!». È capace di chiamare testimoni anche quando è lui a ricevere denaro di cui è creditore. In inverno brontola con lo schiavo perché non ha comperato i cetrioli. I suoi figli li costringe a lottare fra di loro ed a correre e li incita fino all'esaurimento. Quando in campagna cucina lui stesso le lenticchie, mette due volte il sale nella pentola e rende il piatto immangiabile. [Se Giove fa piovere, lui dice «Ma che bello lo splendore delle stelle» . E se queste splendono egli sostiene che la notte è più buia della pece, anche se gli altri dicono il contrario (3)]. E quando uno dice «Secondo te quanti cadaveri sono stati portati attraverso la porta Erìa?», egli risponde «Tanti quanti io e te mai potremmo desiderare» (4).
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1) Il termine "anaistesias" usato da Teofrasto potrebbe anche essere tradotto con insensatezza, stolidità, ecc.
2) La latrina, se c'era, si trovava quindi fuori di casa.
3) Frase molto corrotta e poco chiara
4) La porta Erìa era quella che portava al cimitero del Ceramico in Atene; la risposta dell'insensato è più adatta a chi parla di soldi che di morti.





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