QUELLO CHE VUOL ESSERE GRADITO
La smania di rendersi utili è, per definizione, una forma di condotta rivolta a compiacere, ma non nell'interesse di chi agisce. Il compiacente infatti è uno che saluta l'amico da lontano, lo chiama «illustrissimo» e lo tratta con ammirazione. Lo prende con entrambe le mani e non lo molla più, lo accompagna per un tratto, gli chiede quando potrà andarlo a trovare e si congeda con molti complimenti. Convocato a far da arbitro, vuol essere gradito non solo a quello che lo ha nominato, ma anche alla controparte, per apparire imparziale. Sostiene che i forestieri giudicano in modo più giusto dei cittadini (1). Quando è invitato ad un pranzo, vuole che l'ospite chiami i suoi bambini e quando entrano dichiara che assomigliano al padre come una goccia d'acqua (2), e alcuni li chiama a sé e li copre di baci e gioca con loro a «otre e scure» (3) e lascia che gli altri si addormentino sulla sua pancia, anche se ciò, naturalmente, lo schiaccia. Va dal parrucchiere in modo esagerato, ha sempre i denti bianchi, cambia spesso di mantello, così da apparire sempre pulito, e si cosparge di profumi. Al mercato si mette vicino ai banchi dei cambiavalute [molto frequentati], nel ginnasio si mette dove si allenano i ragazzi, in teatro, se vi è spettacolo, siede vicino agli strateghi (4). Per sé non compera nulla, ma per i suoi amici non risparmia: per quelli a Bisanzio olive, per quelli a Cizico cani spartani, per quelli a Rodi miele dell'Imetto, e poi lo racconta a tutta la città. Naturalmente è capace di tenere in casa una scimmia o di comperarsi un uccello raro, colombe siciliane, dadi di osso di gazzella, fiale ben tornite per creme da Turio, bastoni ritorti da Sparta, un tappeto con intessute figure persiane o di avere una piccola palestra con la sabbia o uno sferisterio. Queste le lascia poi a disposizione dei filosofi, dei sofisti, degli schermidori e dei musicanti per le loro rappresentazioni e lui stesso arriva tardi, così che uno spettatore possa dire a quello sedutogli vicino: «è lui il proprietario della palestra».(5)
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1) Testo poco chiaro; forse intendeva dire che dice ciò ai forestieri.
2) In greco si diceva «come un fico» .
3) Gioco sconosciuto, ma che certamente corrisponde al gioco di prendere il bambino, alzarlo in aria e poi far finta di lasciarlo cadere a terra.
4) Le principali autorità di Atene.
5) Alcuni assegnano questa frase al carattere XXI
LO SPUDORATO
La spudoratezza (1) è l'insistere in azioni e parole vergognose; lo spudorato è quindi uno che giura come niente fosse, è malfamato, tira accidenti ai potenti; per carattere è un uomo da piazza, un esibizionista (2), uno capace di tutto. Per lui è del tutto naturale ballare il cordace anche se non ha bevuto e danzare senza maschera nei cori comici (3). Negli spettacoli dei saltimbanchi va in giro a chiedere la moneta di rame ad uno ad uno e poi litiga con quelli che [non] hanno il biglietto (4) e vogliono guardare gratis. Fa il taverniere, il ruffiano, il gabelliere e non rifiuta alcun traffico per quanto riprovevole, ma anzi per lui è cosa naturale fare il banditore, il cuciniere, il giocatore d'azzardo, lasciar morire di stenti la madre, farsi acchiappare sul fatto come ladro, passar più tempo in galera che a casa. Fa parte della categoria di quelli che raccolgono attorno a sé persone e le sobillano, sbraitando, lanciando improperi, discutendo, e la gente un po' si accosta per sentirlo, un po' se ne va senza dargli retta. Ma lui ad uno dice l'inizio del discorso, ad un altro una mezza parola, ad un altro ancora un'altra parte della questione e crede che tutta la sua arroganza spicchi solo se lo circonda l'intero popolo della festa. È uno di quelli che ora intenta un processo come attore, ora è citato come convenuto, ora se la cava con una dichiarazione giurata, ora compare con la capsula dei documenti in seno e un fascio di scritti in mano. Non ha ritegno a dare incarichi a più gente da piazza (5) e subito dopo di far loro prestiti, pretendendo per una dracma tre oboli e mezzo al giorno (6); e dopo batte le osterie, i banchetti del pesce fresco e del pesce salato e infila nelle guance le monete raccolte come interessi.
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1) Letteralmente "la mancanza di senno".
2) Parola di significato incerto; o chi solleva il vestito , ma anche il sobillatore.
3) Non è chiaro se si intende persone con biglietto omaggio oppure senza biglietto.
4) Il cordace era una danza sconcia, confacente solo ad ubriachi
5) Non è chiaro a che soggetti ci si riferisca
6) Vale a dire il 25 per cento al giorno!
L'ARRAFFONE IMPUDENTE
Questa passione consiste, per definirla, nello spregio della propria reputazione per desiderio di un vile guadagno. E l'arraffone è così spudorato da andare a richiedere un prestito prima di tutto a chi ha già fregato una volta [....]. Quando sacrifica agli dei, va poi a mangiare in casa d'altri e la sua carne la mette sotto sale. E porta con sé anche il suo schiavo, gli serve la carne e il pane che prende dalla tavola altrui e gli dice anche «Dai, Tibìo, [mangia] e che buon pro ti faccia!» Quando va a comperare la carne ricorda al macellaio di quella volta che gli fece un piacere. Si mette vicino alla bilancia e dopo la pesata ci butta sopra ancora una giunta di carne o almeno un osso per il brodo e se gli va bene, meglio, altrimenti agguanta ancora un pezzo di trippa dal banca e scappa sghignazzando. Per conto dei suoi ospiti (1) compra un posto a teatro e poi va con loro a guardare, senza pagare la sua parte e il giorno dopo ci porta anche i figli e il pedagogo. Se qualcuno ha comprato a buon prezzo, pretende di entrare a far parte dell'affare. Va poi in casa d'altri a prendere in prestito ora orzo, ora paglia, e costringe costoro, se la rivogliono, ad andarsela a riprendere a casa sua (2). È persino capace nei bagni pubblici di andare alle tinozze di rame, di riempirsi da solo una brocca, tra le grida di protesta del bagnaiolo, e di rovesciarsela da solo addosso, dicendo che ormai ha fatto il bagno. E quando se ne va gli dice ancora: «Che fai, offendi anche? allora la mancia te la sogni! ».
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1) Ovviamente con i loro soldi
2) Alcuni intendono "e pretende che glieli portino a casa sua".
IL TIRCHIO
La tirchieria è il risparmiare esageratamente in tutto ciò che ha a che fare con gli averi . E il tirchio è quegli che già a metà del mese si presenta già alla casa del debitore per incassare un mezzo obolo [d'interessi]. In una tavolata [alla romana] conta quanti bicchieri ciascuno ha bevuto e fra tutti gli ospiti è quello che fa l'offerta più piccola a Diana. Se alcuno ha comperato per lui qualche cosa a buon prezzo e gli dà il conto, egli sostiene che è ancora troppo caro. Se uno schiavo gli rompe una vecchia pentola o una scodella, gli riduce il vitto per rifarsi. Se sua moglie dovesse perdere una monetina, è capace di mettere sottosopra tutto l'arredo e di perquisire letti, casse e veli (1). Se vende qualche cosa, mette un prezzo così alto che l'acquirente ci ricava ben poco. È chiaro che non permetto a nessuno di raccogliere fichi dal suo orto, di passare per i suoi campi o di raccogliere una sola oliva o un solo dattero caduti dai suo alberi. Ogni giorno va a controllare se le pietre di confine sono ancora al loro posto. Dai debitori pretende gli interessi per ogni ritardo e gli interessi sugli interessi. Quando gli tocca di offrire il banchetto [del proprio demo], taglia la carne a pezzettini già prima di servirla. Se va a comperare la carne, torna a mani vuote. Alla moglie vieta di imprestare sale, lucignolo, cumino, origano e neppure orzo né bende né pasta per i sacrifici e le dice: «Anche queste piccolezze, alla fine dell'anno fanno un bel po'» . [In somma, le casse dei tirchi sono ammuffite, le chiavi arrugginite, essi portano vestiti più corti delle gambe, si ungono con ampolline piccolissime, si tagliano i capelli a raso, a mezzogiorno vanno ancora scalzi e litigano con i lavandai perché usino molta argilla e le macchie non tornino fuori] (2)
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1) Alcuni correggono veli in fessure del pavimento.
2) Frase di incerta attribuzione, omessa in alcuni testi.
IL MALEDUCATO
Non è difficile definire la maleducazione che è un modo di scherzare grossolano ed urtante. Il maleducato è uno che per la strada incontrando una signora, alza il mantello e lascia vedere le vergogne. In teatro applaude quando gli altri ascoltano e fischia gli attori che gli altri gradiscono. E quando in teatro vi è silenzio, si stira e rutta per far voltare gli spettatori. Quando il mercato è pieno, si piazza vicino ai banchetti delle noci, delle coccole di mirto o delle altre frutta e spilucca, mentre ciarla con i venditori. E i presenti li chiama per nome anche se non li conosce. Se vede qualcuno andare di gran fretta, lo ferma. Se uno ha appena perduto un processo importante ed esce dal tribunale, va da lui e si congratula. Compra da mangiare solo per sé, noleggia una flautista e poi mostra a chi incontra i suoi acquisti e li invita (1). Se va dal barbiere o dal profumiere, racconta che si vuol ubriacare. [Se la madre va da un indovino, le rivolge parole di malaugurio. Nelle preghiere getta via il bicchiere per le libagioni e ride come se avesse fatto una prodezza. Quando gli suonano il flauto è il solo a battere le mani e accompagna canterellando e se la prende con la flautista perché ha smesso presto. Vuol sputare oltre la tavola e colpisce il coppiere.] (2)
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1) Forse solo per scherno.
2) Brano di incerta collocazione, assente in alcuni testi, in altri posto in fine al carattere XIX, ma con poca correlazione con il resto.
L'INOPPORTUNO
L'essere inopportuni consiste nel fare cose nel momento sbagliato, così da risultare molesti per la gente e l'inopportuno è uno che va a raccontare le cose sue a chi ha da fare. Alla sua amata va a far la serenata quando essa ha la febbre. Ad uno che è stato condannato a pagare la garanzia [fatta per un altro], gli si rivolge e gli chiede di fare da garante per lui. Dovendo fare da testimonio, compare quando la causa è già decisa. Invitato a nozze, parla male del sesso femminile (1). Uno che è appena arrivato da un lungo viaggio, lo invita a fare una passeggiata. Arriva con un compratore disposto a pagar di più, quanto la vendita è già conclusa. Quando la gente [nell'assemblea] ha sentito e capito tutto, egli si alza e comincia a spiegare tutto da capo. Volentieri si immischia in faccende di altri che non vorrebbero, ma che per pudore non possono zittirlo (2). A coloro che stanno sacrificando e quindi hanno affrontato spese, va a chiedere gli interessi. Quando uno schiavo viene frustato, interviene e racconta che un suo schiavo una volta si era impiccato dopo essere stato picchiato in tal modo. Quando partecipa a un collegio arbitrale attizza la lite fra le due parti che già intendevano accordarsi. E quando decide di ballare va ad acchiappare uno che non è ancora brillo.
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1) Al banchetto di nozze erano presenti, eccezionalmente e ad un tavolo separato, le donne.
2) Cioè fa delle gaffes e, due frasi dopo, il menagramo.
L'IMPICCIONE ZELANTE
Certamente l'impicciarsi appare come una certa esagerazione nelle parole e nelle azioni a fin di bene; l'impiccione è quindi uno che si alza e promette ciò che non può mantenere. Se tutti sono d'accordo che una cosa è giusta, solleva obiezioni e viene contraddetto. Ordina allo schiavo di preparare [nel cratere] più vino di quanto i suoi ospiti possano bere. Va a dividere i litiganti che neppure conosce. Si offre volontario per indicare una scorciatoia e poi non è capace di trovar la strada. Si presenta al comandante e gli chiede quando intende schierar le truppe per la battaglia e gli chiede quale sarà la parola d'ordine per doman l'altro. Va dal padre e gli dice che la madre già riposa in camera da letto. Quando il medico ha vietato di dare vino all'ammalato, lui dice che vuol provare a curarlo proprio con esso. Se muore una donna [nella sua famiglia] egli scrive sulla lapide, oltre al suo nome, il nome di suo marito, di suo padre, di sua madre, e di che paese essa era e vi aggiunge anche che erano tutte persone rette (1). E quando deve prestar giuramento egli dice ai presenti: «ho già giurato tante volte in passato, io!»
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1) Di solito si metteva solo il nome del marito e, ovviamente, non si parlava dei vivi come se fossero già morti.
LO SVENTATO
La sventatezza (1) è, secondo la definizione, una torpidezza dell'animo nelle parole e nelle azioni e l'insensato è quindi uno che fa i conti con le pietruzze, tira le somme e poi chiede al vicino «Qual è il risultato?» . Sebbene sia citato in un processo e intenda comparire, se ne dimentica e va nei campi. Se va a teatro, rimane lì da solo addormentato. Quando ha mangiato troppo e si alza di notte per andare al cesso, si sbaglia e viene morsicato dal cane del vicino (2). Se ha ricevuto un oggetto e lo ha riposto egli stesso, poi lo cerca e non riesce a trovarlo. Quando gli si annunzia che un suo amico è morto e che deve andare da lui, si commuove, piange e dice «tanti auguri!». È capace di chiamare testimoni anche quando è lui a ricevere denaro di cui è creditore. In inverno brontola con lo schiavo perché non ha comperato i cetrioli. I suoi figli li costringe a lottare fra di loro ed a correre e li incita fino all'esaurimento. Quando in campagna cucina lui stesso le lenticchie, mette due volte il sale nella pentola e rende il piatto immangiabile. [Se Giove fa piovere, lui dice «Ma che bello lo splendore delle stelle» . E se queste splendono egli sostiene che la notte è più buia della pece, anche se gli altri dicono il contrario (3)]. E quando uno dice «Secondo te quanti cadaveri sono stati portati attraverso la porta Erìa?», egli risponde «Tanti quanti io e te mai potremmo desiderare» (4).
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1) Il termine "anaistesias" usato da Teofrasto potrebbe anche essere tradotto con insensatezza, stolidità, ecc.
2) La latrina, se c'era, si trovava quindi fuori di casa.
3) Frase molto corrotta e poco chiara
4) La porta Erìa era quella che portava al cimitero del Ceramico in Atene; la risposta dell'insensato è più adatta a chi parla di soldi che di morti.