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Il Gazebo

La Storia...

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  • il Poeta 1
    00 29/05/2005 11:44
    Erba, fu coinvolta dopo l'Armistizio del 8 Settembre 1943 dall'occupazione delle forze tedesche e dalla nascita della Repubblica Sociale Italiana (R.S.I) di Benito Mussolini...
    • La zona dell'Erbese era sede d'operosità antifascista fin dall'Ottobre 1943; il Paese, servito dalla ferrovia NORD Milano, circondato da laghi e dalla catena delle Prealpi, era meta domenicale per grandi narcisate, funghi e castagne, ed anche sciare non solo in Preaula ai piedi della cima più alta il Palanzone 1.300 metri xx, la Salute, Alpe Vicerè il Campeggio poi bombardato xx, Capanna Mara, Bolettone, il Crocione e l'Eremo di San Salvatore sopra Crevenna frazione di Erba. In questa zona, qualcuno nel cercare castagne/funghi notavano dei giovani sbandati/partigiani. Questo incontro innocente, dalla passa parola, ci scappò la delazione e di riflesso un rastrellamento di tedeschi S.S. così un qualche renitente che non voleva arruolarsi nella R.S.I. fu preso...
    • L'organizzazione antifascista di zona, pensò di prendere un ostaggio, per scambiarlo con i giovani partigiani presi nella zona dell'Eremo; la scelta per diversi motivi, cadde sul cassiere del Banco Ambrosiano Pontiggia Ugo (personalmente non s’interessava di politica), padre di Pontiggia Giuseppe, vincitore Premio Strega 1989, e il Campiello col libro "Nato due Volte"...
    • Chiese la partecipazione al gruppo antifascista della bassa Brianza, di mandare per detta operazione persone sconosciute nell'Erbese, affinché l'operazione riuscisse al meglio e, il 13 Novembre del 43, di pomeriggio, tre persone si misero in viaggio per prelevare il Pontiggia.
    • Il piano era ben studiato, la banca s'affacciava (ora) al Corso XXV Aprile e piazzetta Giancarlo Puecher (prima medaglia d'oro della resistenza antifascista) Via A. Volta e la Via privata Argimira, la quale illuminata all'inizio da una sola lampadina di 10 watt, avente possibilità di posteggiare tranquillamente al buio con motore spento, senza ostruire il passaggio nel caso che qualche privato transitava, mentre i due complici attendono l'uscita del Pontiggia dal lavoro pomeridiano alle 17, affiancarlo con pistola puntata e con un secco comando: - venga con Noi!- Così fu.
    • Il cassiere comprese la situazione e s'incamminò, attraverso la piazza, imboccando la via privata.
    • Il fato o l'imprevisto volle che da Via Volta, salisse verso la piazzetta nel recarsi al bar "la Lola" per bersi un bicchiere, il signor Angelo Pozzoli (sua abitudine dopo il lavoro). Il Pontiggia, mentre si trova vicino alla macchina, nota la sagoma ben conosciuta del Pozzoli (per lui era l'ancora di salvezza) chiama: -POZZOLI POZZOLI!-.
    • Il Pozzoli, - Chi è? - fece dei passi in direzione della richiesta d'aiuto. Il comando naturalmente sapeva che a 50 metri abitava il Questore di Como Pozzoli, pensarono a Lui, ebbero paura? Spararono a bruciapelo uccidendo il Pontiggia Ugo e il Pozzoli morì dopo qualche ora (anche il Pozzoli non s’immischiava nella politica ma di far funzionare la fabbrichetta di stufe "la Brianzola"). L'autista accese il motore e sparì senza lasciare traccia. Di questa pagina di storia ci fu solo silenzio e omertà.
    Il fatto successe a due passi dove abitavo, casa del Questore Lorenzo Pozzoli (porto il suo nome da primo nipote della zia Pontiggia Virginia in Pozzoli, -chiamata la bella Spagnola-), Di quella sera, ho impresso nei ricordi il trambusto e l'andirivieni di gente che piangeva...

    • Dal mio libro "Dal ventre della terra" lettera indirizzata al giornale "La Provincia" di Como per la fotografia "La fucilazione del Questore", in prima pagina, del 20/09/1990, articolo di Gustavo Selva: far luce anche ai misteriosi casi di gente uccisa da parte di partigiani...
    • Dopo l'otto Settembre del 43 (a quel tempo nella nostra zona, un militare di carriera che aveva servito l'ITALIA con onore, che poteva scegliere?), il Colonnello Pozzoli (sollecitato da amici), e per mantener fede al giuramento dato ad un codice militare, accettava la nomina a Questore di Como, della nuova Repubblica di Salò.
    • Al Pozzoli gli attribuiscono la colpa per la firma che a malincuore dovette fare dopo aver cercato inutilmente di salvare la vita alla giovane figura d'Eroe Giancarlo Puecher, diventato capo di un gruppo di partigiani, bloccato una sera al ritorno di una riunione antifascista in quel di Ponte Lambro frazione Lezza, in compagnia e in possesso d'armi (dopo la tragica fine del fratello del Questore Angelo e il cugino Pontiggia Ugo, da quella sera, il comando delle S.S. mise il coprifuoco).
    • So con certezza che ha salvato e tratto dagli "impicci" partigiani Erbesi e non, l'aiuto lo esercitava con discrezione e in modo disinteressato...
    • Dai miei casuali scandagli soprattutto tra ex partigiani, la figura del Pozzoli è sempre uscita nitida e trasparente (Se c'era nella zona Erbese dell'invidia era per il successo che la divisa otteneva con le donne...).
    • Nel 1960, casualmente visitando un cliente in quel di Capiago, capii di trovarmi con il Senatore Martinelli, e senza presentarmi chiesi di parlarmi dell’ex Questore Pozzoli: - Era una persona a modo e poteva salvarsi. Io, Lorenzo Spallino ed altri, amichevolmente al Pozzoli, per gli eventi in corso, la cosa da fare, rifugiarsi in Svizzera...-.
    • - Lo zio (per Logica Razionale), non prese in considerazione il consiglio per tre motivi: il primo per il giuramento fatto non volle abbandonare Como, il secondo non aveva figli, il terzo, il suo comportamento lo assolveva...- E se l'avesse fatto si sarebbe sentito un traditore (voltagabbana).

    Spedii una seconda lettera al Direttore del giornale "La Provincia", del 29/11/2000, a seguito degli articoli apparsi sul giornale per la lapide ai quattro fucilati al Tempio Voltiano.
    Ho ritenuto che fosse d'utilità storica offrire uno stralcio dello scritto, soprattutto oggi, per le revisioni dei testi scolastici tutti di parte.
    Il Pozzoli, era stimato non solo dagli allora capi partigiani, Lorenzo Spallino e Martinelli, poi Senatori e Ministri della Repubblica Italiana. Il Questore Pozzoli rimase al suo posto e sorrise alla morte...

    Il 20 Dicembre nel centro di Erba, in pieno giorno, ci fu un fattaccio di spavalderia nell'uccisione dello squadrista Germano Frigerio (Beccalli), giusta o sbagliata, la popolazione più filo fascista reclamava l’ordine…
    Le S.S., tramite il Commissario Saletta, volevano una dimostrazione di forza con lo scopo di calmierare il malcontento: l'uccisione di detenuti non solo presi con le mani in pasta. Il processo farsa, avvenne di sera dello stesso giorno, (ex municipio di Erba) e si protrasse oltre la mezzanotte. Il Questore pur soffrendo lutti freschi in famiglia da parte partigiana, tentò invano di salvare la vita di Giancarlo Puecher, riuscì con gli altri detenuti. A malincuore mise la firma per la fucilazione al giovane Eroe.
    Nacque, la Brigata "Giancarlo Puecher", esempio di sacrificio, d’essere additato ai giovani come esempio...
    La sentenza fu eseguita alle prime luci della mattina del 21 Dicembre 1943, fuori del Cimitero Maggiore di Erba.
    Il giovane Giancarlo, lasciò un testamento di Donazione da vero Cristiano...
    Il Questore – pur salvando Como e altro…-subì l’onta d'essere fucilato da traditore con la schiena rivolta al plotone d'esecuzione, non volle la benda e gridò "Viva l’Italia!". In questo visse i medesimi ideali di Giancarlo Puecher, pur se da una sponda opposta, anche per lo scritto che ricevette il Capellano di S. Donnino da consegnare alla moglie (zia), prima d'essere fucilato.
    - Ad Erba nel 1944 dopo il caso Puecher, la vita scorreva paradossalmente tranquilla pur avendo tra i piedi le S.S.
    -Si può pensare che gli animi dei partigiani per la presenza del giovane coadiutore aggiunto a Don Erminio Casati (Sant'uomo) Prevosto di Erba, Don Aristide Pirovano, (tra i fondatori del C.N.L. locale, nel portare la Parola Cristiana, evitava odio e inutile spargimento di sangue...
    Nei giorni del 25 aprile 1945, con i tedeschi in fuga, in Erba centro, fermò la colonna tedesca e con la bandiera bianca s’accordò di lasciarli passare senza far scorrere sangue...
    La sua Vita, è stata un’Ascesi di virtù Cristiana, al servizio dei bisognosi di Marituba, Brasile (è in corso la beatificazione).
    Tra i quattro fucilati c'era il Commissario Saletta, il fascista delle S.S. figura che ancor oggi nel Comasco fa ricordare i tristi giorni che disonorò i valori umani e i veri fascisti di Como. La sua presenza sul banco degli imputati equivaleva la condanna a morte del processo farsa che dopo 48 ore era annullata...
    I libri sulle ultime 48 ore di Mussolini riportano che in questura a Como, il questore Pozzoli disse: - a Benito Mussolini, Duce, la guerra è persa. Non vada in Valtellina, ma a Chiasso e si consegni agli Svizzeri/americani…- (dal mio punto di vista, non era facile accettare il consiglio perché se fosse stato con poche persone poteva rischiare, ma è probabile che il C.N.L. l'aspettasse al confine per fargli la festa prima di riuscire a consegnarsi agli americani. Invece se fosse riuscito ad andare in Valtellina con un gruppo d’uomini, poi con gli americani avrebbe trattato la resa. I Tedeschi, sconvolgendogli i piani, si può affermare che siano stati fino in ultimo la sua rovina. Questa lettera è riportata come testimonianza che la Storia deve essere luce, ricerca di verità nel tener conto delle "forze" che con opposti ideali promuove la contesa. Da ciò dovrebbe scaturire la DEMOCRAZIA, la quale si basa sulla Verità, base d’insegnamento a non ripetere errori adoperando il DONO della RIFLESSIONE, per vivere una vita da Uomini non da bestie...
    Direttore: mi rifaccio alla richiesta di Nicollini ( rappresentante Comasco della R.S.I.) per una lapide in memoria dei quattro fascisti fucilati al tempio Voltiano, richiesta che ha suscitato scalpore, perché il Saletta viene ancor oggi ricordato dalla popolazione d'allora e dai figli della popolazione d'allora come un essere "immondo", la richiesta di Nicollini fa acqua, salvo discernere, quanto dice l'articolo di Giorgio Cavalleri, studioso di storia locale…Il Cavalleri ha ammesso che la figura di Pozzoli non va confusa con quella degli altri tre.

    Albese 29/11/2000, Lorenzo Pontiggia Nipote ex Questore Lorenzo Pozzoli.



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    THEBEACH45
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    Stella di Sshhh...
    00 01/06/2005 07:18


    Grazie, poeta!!!!!!

    [SM=g27811] :permano:
  • il Poeta 1
    00 01/06/2005 11:08
    Ciao Matteo...
    Ho aggiunto una Riflessione storica importante per meglio capire l'evolversi...



    I libri sulle ultime 48 ore di Mussolini riportano che in questura a Como, il questore Pozzoli disse: - a Benito Mussolini, Duce, la guerra è persa. Non vada in Valtellina, ma a Chiasso e si consegni agli Svizzeri/americani…- (dal mio punto di vista, non era facile accettare il consiglio perché se fosse stato con poche persone poteva rischiare, ma è probabile che il C.N.L. l'aspettasse al confine per fargli la festa prima di riuscire a consegnarsi agli americani. Invece se fosse riuscito ad andare in Valtellina con un gruppo d’uomini, poi con gli americani avrebbe trattato la resa. I Tedeschi, sconvolgendogli i piani, si può affermare che siano stati fino in ultimo la sua rovina


    (aggiungo il Duce, s’alleo con Hitler anche per il motivo che l’Impero Italiano rompendo l’archetipo al colonialismo inglese come conseguenza l’Inghilterra adottò misure penalizzanti verso l’Italia, la furbizia di Hitler ne difese il comportamento).



    Questa lettera è riportata come testimonianza che la Storia deve essere luce, ricerca di verità nel tener conto delle "forze"
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    gaelicopennico
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    00 01/06/2005 12:58
    ringrazio anch'io vivamente, Lorenzo.

    La nostra famiglia ebbe un disperso in Russia ( zio Mario ) e ne ri-ebbimo le spoglie(?) una quindicina d'anni fà.

    E' importante io credo che fintanto che si possono ancora trovare i diretti interessati se ne raccolgano le testimonianze il più possibilmente oggettive del lato umano, così come fai Tu.

    Roberto
  • il Poeta 1
    00 01/06/2005 13:39
    Grazie per la disponibilità nei miei confronti...
    Lorenzo
  • il Poeta 1
    00 07/06/2005 14:30
    La diga del Vaiont (frazione del Comune di Castellavazzo).
    La diga del Vaiont (frazione del Comune di Castellavazzo).
    La famiglia di mia moglie è nativa di Castellavazzo suo nonno è stato sindaco del Paese, e diverse volte salii alla diga prima dell’accaduto con il futuro suocero “don” Erminio…Il quale, da esperto carpentiere avendo girato il “mondo” scuoteva la testa per aver costruito la diga attaccata al monte Toc (si chiamava così causa del franare del pendio a valle…)
    Interessante la lettura degli atti degli ultimi 3 giorni:
    6 ottobre la strada di sinistra è quasi intransitabile per le continue crepe che si aprono nel manto stradale.
    7 ottobre Caruso torna alla diga ed avverte Biadene del peggioramento della situazione; il Genio Civile dispone un sopralluogo dell'Assistente governativo.
    Degli operai trovano in una zona boscosa del lato sinistro del Monte Toc due fessure larghe un metro e lunghe circa dieci; durante la giornata se ne aprono altre; rotolano sassi, si sentono crepitii provenienti dalle viscere del monte.
    7 ottobre, sera viene dato ordine di far sgomberare il Toc, con esclusione delle frazioni Pineda, Liron, Prada.
    8 ottobre, ore 10,30 Biadene e Caruso si recano alla diga e verificano l'ulteriore peggioramento della situazione.
    Caruso si reca da Violin al Genio Civile di Belluno, che a sua volta invita l'assistente governativo, Bertolissi, a recarsi presso la diga. Caruso lo prega di non «spargere voci allarmistiche». Violin chiede una relazione scritta (CM 177).
    8 ottobre, ore 12 Biadene telefona alla sede di Venezia della ENEL-SADE, perché si invii un telegramma al Sindaco di Erto-Casso, affinché emetta ordinanza di sgombero della zona del Toc e stabilisca il divieto d'accesso alle sponde del bacino, nonché il transito delle strade nella sponda sinistra del Vajont. L'ordinanza viene emessa.
    ore 15,30 Bertolissi si reca alla diga e redige un rapporto che sottolinea «la gravità della situazione per cui si attendono istruzioni da codesto Servizio Dighe». Consegnato all'ingegnere capo del Genio Civile, Almo Violin, la mattina del 9, il rapporto viene spedito a Roma nel pomeriggio per posta ordinaria (PAS 57).
    Biadene telefona anche alla sede di Roma della ENEL-SADE, pregando Baroncini di convincere Penta e la Commissione di collaudo di fare un nuovo sopralluogo. Penta accetta di inviare un proprio assistente, professor Esu, venerdì 11.
    I Carabinieri fanno sgomberare alcuni abitati sotto quota 730.
    9 ottobre, mattina i movimenti della frana fanno sì che il canale di scarico dell'invaso sia ostruito. Biadene scrive a Pancini, chiedendogli di rientrare dalle ferie: «...in questi giorni le velocità di traslazione della frana sono decisamente aumentate [...]. Le fessure del terreno, gli avvallamenti sulla strada, l'evidente inclinazione degli alberi sulla costa che sovrasta La Pozza, l'aprirsi della grande fessura che delimita la zona franosa, il muoversi dei punti anche verso la “Pineda” che finora erano rimasti fermi, fanno pensare al peggio. Ieri abbiamo telegrafato al Sindaco di Erto e alla Prefettura di Udine, chiedendo che sia ripristinata l'ordinanza di divieto di transito sulla strada; intanto il serbatoio sta calando 1 metro al giorno e questa mattina dovrebbe essere a quota 700. Penso di raggiungere quota 695 sempre allo scopo di creare una fascia di sicurezza per le ondate [...]. Mi spiace darle tante cattive notizie e di doverLa far rientrare anzitempo. [...] Che Iddio ce la mandi buona» (SGI 244-5)
    ore 12 durante la pausa pranzo alcuni operai ENEL fermi sul coronamento della diga vedono ad occhio nudo il movimento della montagna.
    ore 13 dietro le baracche degli operai in sponda sinistra, si apre una crepa larga 50 centimetri e lunga 5 metri. Dopo tre ore la crepa ha progredito di 40-50 centimetri.
    ore 15-16 un operaio attraversando la zona del Massalezza ad una quota superiore alla strada, vede alberi cadere e sollevare con le radici grandi zolle di terra.
    ore 17 Caruso riceve da Venezia le direttive di avvertire il Comando dei Carabinieri per disporre il blocco del traffico stradale nella zona di pericolo (CP A1 24).
    ore 17,50 Biadene telefona a Penta, che lo rincuora: «Mi raccomanda la calma e di “non medicarci la testa prima di essercela rotta”» (SGI 250). E' in quella telefonata che Biadene, per la prima volta, informa Penta degli esperimenti su modello del CIM e sulla presunta quota 700 come quota di sicurezza (ASC 20). Subito dopo Batini telefona a Biadene, che gli conferma il procedere dello svaso, «compatibilmente all'esercizio di Soverzene», messo abusivamente in funzione per produrre energia elettrica con l'acqua dello svaso (SGI 251).
    ore 20 i camion non sono più in grado di transitare sulla strada in sponda sinistra. La strada per il Toc viene sbarrata dalla SADE.
    Caruso incontra al caffè Deon di Belluno il comandante dei Carabinieri e gli spiega la necessità del provvedimento di chiusura della statale di Alemagna, prima e dopo Longarone. Il comandante telefona da un bar alla Caserma di Cortina d'Ampezzo e dà l'ordine, che viene trasmesso al maresciallo di Longarone (CM 184).
    ore 22 Rittmeyer telefona a Biadene, a Venezia, per comunicare la sua estrema preoccupazione, dato che la montagna ha cominciato a cedere visibilmente. E' preoccupato altresì per la frazione di Erto delle Spesse, a quota 729. Una telefonista di Longarone sente il colloquio, si intromette per chiedere se non ci sia pericolo anche per Longarone. Biadene la tranquillizza ma consiglia Rittmeyer di «dormire con un occhio solo» (CP A1 24).
    ore

    ore 22,39 del 09/10/1963: la frana si stacca. Non in due tempi, bensì come corpo unico, compatto: 260 milioni di metri cubi di roccia. In quel momento il livello dell'acqua è a quota 700,42 m. s.l.m. L'onda, di 50 milioni di metri cubi, provocata dalla frana, si divide in due direzioni. Investe da una parte i villaggi di Frasein, San Martino, Col di Spesse, Patata, Il Cristo. Quindi arriva ai bordi di Casso e Pineda. Dall'altra parte, superando la diga, raggiunge Longarone rasandolo sfogandosi per Villanova, Pirago, Faè, Rivalta, per poi defluire lungo il Piave. Nello “splasc” l'onda risale toccando Codissago, Olantreghe, Podenzoi frazioni di Castellavazzo.
    Si contano 1917 morti: 1450 a Longarone, 109 a Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 persone originarie di altri comuni, di cui la maggior parte lavoratori e tecnici della diga con le rispettive famiglie. Pochissimi i feriti. In tutta la zona l'unica opera umana che resiste, senza danni all'onda paradossalmente è la diga sul torrente Vajont.
    Da questo stralcio di realtà si nota il dilettantismo dei responsabili a gestire non solo le cose pubbliche, i quali sperano che a loro non succeda l’irreparabile che purtroppo avvenne nel non prevenire l’allontanamento dei cittadini non solo di Longarone.

    La mattina del 10/10/63, dopo il mio giro di lavoro, rientrando a casa, mia moglie, mi parlò dell’accaduto.
    I miei suoceri, erano in apprensione per la nuora, i nipoti e parenti (i figli all’estero a lavorare), le linee del telefono non funzionavano e don Erminio ripeteva doveva succedere. La radio, sconsigliava i privati di mettersi in viaggio, solo le colonne di militari e le varie Istituzioni. Volevo partire subito, ma rimandai la partenza il giorno dopo. Con suocera, con mio fratello e due ragazze di Castello che lavoravano ad Erba, di buonora partii.
    Prima di Belluno, dovetti prendere la strada per Agordo, essendo la statale Allemagna interrotta ed uscire sopra Pieve di Cadore per scendere fino a Castellavazzo dove la strada terminava per colpa dell’onda maledetta, uscita dal bacino della diga per la frana del Toc, cancellando Longarone.
    Arrivammo di sera, Castello era illuminato da un grosso generatore, un altro illuminava la piana bianca di Longarone fantasma!
    Il Paese di Castellavazzo non fu investito dal salto dell’acqua, mia cognata Luciana xxx mi raccontò del pericolo corso per lo spostamento del vuoto d’aria del risucchio e, dei “cugini” scomparsi…
    Di buona mattina a piedi feci i due km. che separano Castello da Longarone. Longarone era è il centro più importante della valle per la posizione strategica trovandosi al crocicchio ad Ovest la Val Zoldana, a Nord il Cadore ad Est il ponte sul Fiume Piave che porta alla diga cioè in Val Cellina/Friuli a Sud Valle del Piave, Ponte nelle Alpi, Venezia o Belluno.
    - La “volpe del deserto”, il tenente Erwin Rommel nella Grande Guerra ottenne con il suo ardire il 09/10/1917 l’inizio della sua leggenda.
    Trovandosi in Val Cellina, Cimolais, viene a sapere che alcuni schutzen sono stati fatti prigionieri, ma che gli italiani si sono ritirati verso Longarone. Rommel decide di avviarsi quindi verso Longarone, sono le 6.30 del 10.10.1917, ma prima che lui giunga a Pirago gli italiani fanno saltare il ponte sul Maè. Quando gli uomini di Rommel, superato l'ostacolo del ponte ancora fumante, si dirigono verso le porte del paese, uno spettacolo indimenticabile li accoglie: il sottoten. Schoeffel, uno dei militari fatti prigionieri, sventola la resa firmata dal comandante la guarnigione di Longarone, in groppa ad un mulo, seguito da militari incolonnati sventolanti un fazzoletto bianco di resa.
    Bottino della ridicola battaglia: circa 4000 uomini e 100 ufficiali oltre a mitragliatrici, cannoni di montagna e da tiro rapido, centinai d’animali da soma, camion da trasporto, tanti autocarri e ambulanze.
    Alle 7.30 Rommel entra in Longarone, salutato dagli evviva non solo dei suoi uomini. Inizia, il sacco di Longarone, dettato da una fame e una stanchezza che ha origini lontane.

    Perdite dalla partenza del 09/10 alla presa di Longarone: 6 morti 2 feriti gravi 19 feriti leggeri 1 disperso.
    Il reparto di Rommel riuscì a portare a termine questa operazione con la sola "forza" di 200 fucili, 6 mitragliatrici pesanti e 6 leggere.
    il successo non si deve soltanto alla forza pura o alla durezza dimostrata da ognuno verso se stesso. Essa fu una vittoria dello spirito, che non si è mai perso.
    Prima di Longarorone, Rommel prestò servizio in Francia, sul fronte Rumeno e Italiano, venne ferito tre volte e premiato con la Croce di Ferro di prima e seconda classe. Fu il più giovane militare a ricevere la più alta onoreficenza militare tedesca, la medaglia Pour le Mérite, che ricevette per la Battaglia di Longarone.
    • Longarone rimase nel cuore del tenente Rommel.-

    Arrivato a Longarone la prima cosa che mi colpì furono i sassi e le pietre bianche che la forza dell’acqua lasciò al suo passaggio, in pochi minuti sparì in un largo raggio ogni segno di civiltà della fiorente Longarone, della Chiesa, la stazione i pochi militari scavavano alla meno peggio per cercare non solo sopravvissuti, cadaveri allineati per essere trasferiti al cimitero di Fortogna frazione di Longarone andai verso Faé, vidi non solo mucche sparse gonfie d’acqua…
    Pensai a Longarone, per Castello e i paesi vicina era la città, il terziario il polmone (quanto oggi) dove si respirava, ora lo vedevo come un deserto senza terra e vegetazione ma pietre bianche levigate senza rughe di storia.
    Sola il fiume Piave tranquillamente continuava la sua opera di Vita…
    Che desolazione…ritornai sullo spiazzo dove c’era Longarone, mentre atterrava un elicottero…scese l’allora Presidente del Governo Leone e tranquillamente fui immortalato al suo fianco dai fotografi presenti da finire in prima pagina il giorno dopo sul Corsera…
    Ritornai dopo 15 giorni a Longarone e vidi una scena straziante tirar fuori una persona dalle macerie di un’osteria con le carte in mano…e tanti alpini e volontari che cercavano di ridare un significato alla città scomparsa… a causa d’interessi privati per lo sfruttamento dell’energia elettrica…
    Il Poeta