La diga del Vaiont (frazione del Comune di Castellavazzo).
La diga del Vaiont (frazione del Comune di Castellavazzo).
La famiglia di mia moglie è nativa di Castellavazzo suo nonno è stato sindaco del Paese, e diverse volte salii alla diga prima dell’accaduto con il futuro suocero “don” Erminio…Il quale, da esperto carpentiere avendo girato il “mondo” scuoteva la testa per aver costruito la diga attaccata al monte Toc (si chiamava così causa del franare del pendio a valle…)
Interessante la lettura degli atti degli ultimi 3 giorni:
6 ottobre la strada di sinistra è quasi intransitabile per le continue crepe che si aprono nel manto stradale.
7 ottobre Caruso torna alla diga ed avverte Biadene del peggioramento della situazione; il Genio Civile dispone un sopralluogo dell'Assistente governativo.
Degli operai trovano in una zona boscosa del lato sinistro del Monte Toc due fessure larghe un metro e lunghe circa dieci; durante la giornata se ne aprono altre; rotolano sassi, si sentono crepitii provenienti dalle viscere del monte.
7 ottobre, sera viene dato ordine di far sgomberare il Toc, con esclusione delle frazioni Pineda, Liron, Prada.
8 ottobre, ore 10,30 Biadene e Caruso si recano alla diga e verificano l'ulteriore peggioramento della situazione.
Caruso si reca da Violin al Genio Civile di Belluno, che a sua volta invita l'assistente governativo, Bertolissi, a recarsi presso la diga. Caruso lo prega di non «spargere voci allarmistiche». Violin chiede una relazione scritta (CM 177).
8 ottobre, ore 12 Biadene telefona alla sede di Venezia della ENEL-SADE, perché si invii un telegramma al Sindaco di Erto-Casso, affinché emetta ordinanza di sgombero della zona del Toc e stabilisca il divieto d'accesso alle sponde del bacino, nonché il transito delle strade nella sponda sinistra del Vajont. L'ordinanza viene emessa.
ore 15,30 Bertolissi si reca alla diga e redige un rapporto che sottolinea «la gravità della situazione per cui si attendono istruzioni da codesto Servizio Dighe». Consegnato all'ingegnere capo del Genio Civile, Almo Violin, la mattina del 9, il rapporto viene spedito a Roma nel pomeriggio per posta ordinaria (PAS 57).
Biadene telefona anche alla sede di Roma della ENEL-SADE, pregando Baroncini di convincere Penta e la Commissione di collaudo di fare un nuovo sopralluogo. Penta accetta di inviare un proprio assistente, professor Esu, venerdì 11.
I Carabinieri fanno sgomberare alcuni abitati sotto quota 730.
9 ottobre, mattina i movimenti della frana fanno sì che il canale di scarico dell'invaso sia ostruito. Biadene scrive a Pancini, chiedendogli di rientrare dalle ferie: «...in questi giorni le velocità di traslazione della frana sono decisamente aumentate [...]. Le fessure del terreno, gli avvallamenti sulla strada, l'evidente inclinazione degli alberi sulla costa che sovrasta La Pozza, l'aprirsi della grande fessura che delimita la zona franosa, il muoversi dei punti anche verso la “Pineda” che finora erano rimasti fermi, fanno pensare al peggio. Ieri abbiamo telegrafato al Sindaco di Erto e alla Prefettura di Udine, chiedendo che sia ripristinata l'ordinanza di divieto di transito sulla strada; intanto il serbatoio sta calando 1 metro al giorno e questa mattina dovrebbe essere a quota 700. Penso di raggiungere quota 695 sempre allo scopo di creare una fascia di sicurezza per le ondate [...]. Mi spiace darle tante cattive notizie e di doverLa far rientrare anzitempo. [...] Che Iddio ce la mandi buona» (SGI 244-5)
ore 12 durante la pausa pranzo alcuni operai ENEL fermi sul coronamento della diga vedono ad occhio nudo il movimento della montagna.
ore 13 dietro le baracche degli operai in sponda sinistra, si apre una crepa larga 50 centimetri e lunga 5 metri. Dopo tre ore la crepa ha progredito di 40-50 centimetri.
ore 15-16 un operaio attraversando la zona del Massalezza ad una quota superiore alla strada, vede alberi cadere e sollevare con le radici grandi zolle di terra.
ore 17 Caruso riceve da Venezia le direttive di avvertire il Comando dei Carabinieri per disporre il blocco del traffico stradale nella zona di pericolo (CP A1 24).
ore 17,50 Biadene telefona a Penta, che lo rincuora: «Mi raccomanda la calma e di “non medicarci la testa prima di essercela rotta”» (SGI 250). E' in quella telefonata che Biadene, per la prima volta, informa Penta degli esperimenti su modello del CIM e sulla presunta quota 700 come quota di sicurezza (ASC 20). Subito dopo Batini telefona a Biadene, che gli conferma il procedere dello svaso, «compatibilmente all'esercizio di Soverzene», messo abusivamente in funzione per produrre energia elettrica con l'acqua dello svaso (SGI 251).
ore 20 i camion non sono più in grado di transitare sulla strada in sponda sinistra. La strada per il Toc viene sbarrata dalla SADE.
Caruso incontra al caffè Deon di Belluno il comandante dei Carabinieri e gli spiega la necessità del provvedimento di chiusura della statale di Alemagna, prima e dopo Longarone. Il comandante telefona da un bar alla Caserma di Cortina d'Ampezzo e dà l'ordine, che viene trasmesso al maresciallo di Longarone (CM 184).
ore 22 Rittmeyer telefona a Biadene, a Venezia, per comunicare la sua estrema preoccupazione, dato che la montagna ha cominciato a cedere visibilmente. E' preoccupato altresì per la frazione di Erto delle Spesse, a quota 729. Una telefonista di Longarone sente il colloquio, si intromette per chiedere se non ci sia pericolo anche per Longarone. Biadene la tranquillizza ma consiglia Rittmeyer di «dormire con un occhio solo» (CP A1 24).
ore
ore 22,39 del 09/10/1963: la frana si stacca. Non in due tempi, bensì come corpo unico, compatto: 260 milioni di metri cubi di roccia. In quel momento il livello dell'acqua è a quota 700,42 m. s.l.m. L'onda, di 50 milioni di metri cubi, provocata dalla frana, si divide in due direzioni. Investe da una parte i villaggi di Frasein, San Martino, Col di Spesse, Patata, Il Cristo. Quindi arriva ai bordi di Casso e Pineda. Dall'altra parte, superando la diga, raggiunge Longarone rasandolo sfogandosi per Villanova, Pirago, Faè, Rivalta, per poi defluire lungo il Piave. Nello “splasc” l'onda risale toccando Codissago, Olantreghe, Podenzoi frazioni di Castellavazzo.
Si contano 1917 morti: 1450 a Longarone, 109 a Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 persone originarie di altri comuni, di cui la maggior parte lavoratori e tecnici della diga con le rispettive famiglie. Pochissimi i feriti. In tutta la zona l'unica opera umana che resiste, senza danni all'onda paradossalmente è la diga sul torrente Vajont.
Da questo stralcio di realtà si nota il dilettantismo dei responsabili a gestire non solo le cose pubbliche, i quali sperano che a loro non succeda l’irreparabile che purtroppo avvenne nel non prevenire l’allontanamento dei cittadini non solo di Longarone.
La mattina del 10/10/63, dopo il mio giro di lavoro, rientrando a casa, mia moglie, mi parlò dell’accaduto.
I miei suoceri, erano in apprensione per la nuora, i nipoti e parenti (i figli all’estero a lavorare), le linee del telefono non funzionavano e don Erminio ripeteva doveva succedere. La radio, sconsigliava i privati di mettersi in viaggio, solo le colonne di militari e le varie Istituzioni. Volevo partire subito, ma rimandai la partenza il giorno dopo. Con suocera, con mio fratello e due ragazze di Castello che lavoravano ad Erba, di buonora partii.
Prima di Belluno, dovetti prendere la strada per Agordo, essendo la statale Allemagna interrotta ed uscire sopra Pieve di Cadore per scendere fino a Castellavazzo dove la strada terminava per colpa dell’onda maledetta, uscita dal bacino della diga per la frana del Toc, cancellando Longarone.
Arrivammo di sera, Castello era illuminato da un grosso generatore, un altro illuminava la piana bianca di Longarone fantasma!
Il Paese di Castellavazzo non fu investito dal salto dell’acqua, mia cognata Luciana xxx mi raccontò del pericolo corso per lo spostamento del vuoto d’aria del risucchio e, dei “cugini” scomparsi…
Di buona mattina a piedi feci i due km. che separano Castello da Longarone. Longarone era è il centro più importante della valle per la posizione strategica trovandosi al crocicchio ad Ovest la Val Zoldana, a Nord il Cadore ad Est il ponte sul Fiume Piave che porta alla diga cioè in Val Cellina/Friuli a Sud Valle del Piave, Ponte nelle Alpi, Venezia o Belluno.
- La “volpe del deserto”, il tenente Erwin Rommel nella Grande Guerra ottenne con il suo ardire il 09/10/1917 l’inizio della sua leggenda.
Trovandosi in Val Cellina, Cimolais, viene a sapere che alcuni schutzen sono stati fatti prigionieri, ma che gli italiani si sono ritirati verso Longarone. Rommel decide di avviarsi quindi verso Longarone, sono le 6.30 del 10.10.1917, ma prima che lui giunga a Pirago gli italiani fanno saltare il ponte sul Maè. Quando gli uomini di Rommel, superato l'ostacolo del ponte ancora fumante, si dirigono verso le porte del paese, uno spettacolo indimenticabile li accoglie: il sottoten. Schoeffel, uno dei militari fatti prigionieri, sventola la resa firmata dal comandante la guarnigione di Longarone, in groppa ad un mulo, seguito da militari incolonnati sventolanti un fazzoletto bianco di resa.
Bottino della ridicola battaglia: circa 4000 uomini e 100 ufficiali oltre a mitragliatrici, cannoni di montagna e da tiro rapido, centinai d’animali da soma, camion da trasporto, tanti autocarri e ambulanze.
Alle 7.30 Rommel entra in Longarone, salutato dagli evviva non solo dei suoi uomini. Inizia, il sacco di Longarone, dettato da una fame e una stanchezza che ha origini lontane.
Perdite dalla partenza del 09/10 alla presa di Longarone: 6 morti 2 feriti gravi 19 feriti leggeri 1 disperso.
Il reparto di Rommel riuscì a portare a termine questa operazione con la sola "forza" di 200 fucili, 6 mitragliatrici pesanti e 6 leggere.
il successo non si deve soltanto alla forza pura o alla durezza dimostrata da ognuno verso se stesso. Essa fu una vittoria dello spirito, che non si è mai perso.
Prima di Longarorone, Rommel prestò servizio in Francia, sul fronte Rumeno e Italiano, venne ferito tre volte e premiato con la Croce di Ferro di prima e seconda classe. Fu il più giovane militare a ricevere la più alta onoreficenza militare tedesca, la medaglia Pour le Mérite, che ricevette per la Battaglia di Longarone.
• Longarone rimase nel cuore del tenente Rommel.-
Arrivato a Longarone la prima cosa che mi colpì furono i sassi e le pietre bianche che la forza dell’acqua lasciò al suo passaggio, in pochi minuti sparì in un largo raggio ogni segno di civiltà della fiorente Longarone, della Chiesa, la stazione i pochi militari scavavano alla meno peggio per cercare non solo sopravvissuti, cadaveri allineati per essere trasferiti al cimitero di Fortogna frazione di Longarone andai verso Faé, vidi non solo mucche sparse gonfie d’acqua…
Pensai a Longarone, per Castello e i paesi vicina era la città, il terziario il polmone (quanto oggi) dove si respirava, ora lo vedevo come un deserto senza terra e vegetazione ma pietre bianche levigate senza rughe di storia.
Sola il fiume Piave tranquillamente continuava la sua opera di Vita…
Che desolazione…ritornai sullo spiazzo dove c’era Longarone, mentre atterrava un elicottero…scese l’allora Presidente del Governo Leone e tranquillamente fui immortalato al suo fianco dai fotografi presenti da finire in prima pagina il giorno dopo sul Corsera…
Ritornai dopo 15 giorni a Longarone e vidi una scena straziante tirar fuori una persona dalle macerie di un’osteria con le carte in mano…e tanti alpini e volontari che cercavano di ridare un significato alla città scomparsa… a causa d’interessi privati per lo sfruttamento dell’energia elettrica…
Il Poeta