"PENSAVO FOSSE AMORE... INVECE ERA UN CALESSE" di Massimo Troisi
PENSAVO FOSSE AMORE... INVECE ERA UN CALESSE
di Massimo Troisi -
Italia 1991
Tommaso: Massimo Troisi
Cecilia: Francesca Neri "E' un film non d'amore ma sull'amore..."
Il concetto principale di questo film, su cui è incentrata tutta la vicenda, è l'amore, l'amore che può finire, che non ha e, forse, non ha mai avuto storia.
E l'unica certezza, l'unica cosa provata è che la sofferenza d'amore prima o poi finisce. Ci vuole carattere, bisogna avere la pazienza di aspettare.
Quando si smette di amare, ci vuole lo stesso impegno e la stessa intensità dell'inizio, far sentire alla persona lasciata tutto il bene che c'è stato: ci vuole amore per chiudere una storia. Insomma,aspettare un po' per non buttare via tutto, ma recuperare quanto è possibile, ricreando un altro rapporto, un "dopoamore"...forse...
Quanto alla metafora del calesse, oltre alla mia personale interpretazione ce ne sono altre che, qui di seguito, propongo all'attenzione:
""Perché l'amore si trasforma in calesse?
E' una domanda che molti si sono posti. La risposta di Troisi:
<<...per spiegare al meglio la delusione di un qualcosa le cui aspettative non sono state mantenute, poteva essere usato un qualsiasi altro oggetto , una sedia o un tavolo, che si contrappone come oggeto materiale all'amore spirituale che non c'è più."
(netway.it)
"
Un lungo periodo passato insieme non porta al matrimonio e quando questo argomento viene affrontato si rendono conto che forse il loro non era amore ma, come dice Massimo, un calesse per indicare una qualsiasi cosa che non sia l'amore. Cecilia tenta anche di allontanarsi definitivamente "innamorandosi" di Enea (una grande interpretazione di Marco Messeri) che si rivela un uomo senza carattere e personalita'. I due torneranno insieme ma per non sposarsi. Infatti il giorno del matrimonio, Tommaso, invece di andare in chiesa, da appuntamento a Cecilia in un bar in cui i due si incontrano, vestiti da nozze, per parlare del piu' e del meno."(virgilio news group)
In una successiva rivisitazione, discutendo con un amico, mi sono trovata a concordare circa altri due aspetti da cogliere: la
somatizzazione e l'
ipocrisia .
La prima più evidente, la seconda molto sottile.
Le condizioni di salute del personaggio di Troisi, chissà perché, peggiorano ogni qualvolta si prospetta una separazione con la sua amata. La paura di questa separazione viene, infatti, somatizzata, in una specie di inconscio ricatto morale da parte di lui.
Lei si rende conto di questo, e mi sembra di ricordare che, ad un certo punto del film, rifiuti questa realtà, fino al punto di lasciarlo.
Ma poi si accorge che in fondo sottostare a quel ricatto le piacerebbe, nel senso che scopre di amarlo veramente.
Il calesse ci porta a percorrere un cammino, attraverso varie tappe, in ognuna della quali i vari personaggi scoprono ciascuno qualcosa di diverso, e questo porta inevitabilmente a separazioni e sconfessioni, ma anche a ritrovi e ripensamenti.
Non ultima, l'analogia fra il calesse e la sedia a rotelle del protagonista.
La poesia del film è immensa e trasuda emozioni non dissimili dalla realtà: grandezza e decadenza, nell'amore, ma sempre nei limiti dell'umano vivere.
E alla poesia si accompagna la comicità...
solo per far sorridere: vi ricordate la scena in cui il protagonista ha il sospetto che il suo amico si stia innamorando della donna che lui ama?
Cerca di convincerlo a guardare altrove dicendogli:
ma nooooooo, non devi guardare alle donne alte, perché poi quelle, col passare del tempo, s'abbassano, perdono l'altezza...SI
RANNICCHIANO!!...invece quelle più basse, col tempo, crescono...crescono...crescono!!!!