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23/08/2004 11:42
 
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La cittadina, chiamata anticamente Garinis, fu costruita intorno al X secolo dagli arabi, non lontano ad un insediamento sicano di nome Hycara, distrutto nel 415 a.C. dall'ateniese Nicia.
La città divenne feudo fin dal tempo dei normanni; fu sotto il dominio della famiglia Bonello e successivamente passò ai La Grua, i quali nel 1403 ottennero il titolo di principi.
Tra vari monumenti d'importanza artistica spicca, inquietante e misterioso, il castello , un maniero tipicamente feudale con borgo fortificato.



Il Castello di Carini*(Palermo)



Sorto tra il 1075 e il 1090 per volere di Rodolfo Bonello, il Castello venne restaurato più volte negli anni, soprattutto ad opera dei La Grua-Talamanca.
Qui la storia del castello si confonde con la leggenda ,immortalata nella tradizione popolare dai cunti dei cantastorie.

All'interno delle mura del Castello la leggenda, di cui esistono varie versioni, dice che nel sedicesimo secolo la baronessa Laura cadde trafitta alla schiena mentre fuggiva verso le sue stanze, inseguita dal principe Lanza di Trabia, suo padre, che intendeva lavare con il sangue l'onta del disonore caduta sul casato a causa del comportamento infedele della donna.
La storia spiega come la giovane sposa, forse trascurata da un marito più anziano e amante della caccia, si fosse infiammata di passione per un coetaneo, per giunta appartenente alla potente famiglia rivale dei Moncada.
Dello sviluppo della vicenda amorosa poco si conosce, se non che i due amanti erano pazzi l'una dell'altro e meditavano la fuga o addirittura l'eliminazione del marito della signora.
Ma una notte, di ritorno dall'ennesima battuta venatoria, il barone Vincenzo, accompagnato dal suocero, scopre nel salone i due giovani in flagrante adulterio davanti al caminetto acceso.
La Grua uccide con lo stocco il rivale e rimane a vegliarne il cadavere, mentre il principe Lanza insegue la figlia urlante e la finisce con una sciabolata alla schiena.
Laura, cadendo, si appoggia a un muro del maniero.





La sua mano sporca di sangue lascia una traccia indelebile.
Il barone e il principe uscirono dalla storia con l'onore mondato e La Grua, solo due anni dopo, ben prima della fine del lutto, contrasse nuove nozze.
Naturalmente, la nuova sposina volle ristrutturare, con il permesso del marito, il castello.
Malgrado le numerose mani di calce date sulla macchia di sangue, segno del disperato e ultimo appiglio di Laura, questa non accennò a sparire.
Di conseguenza il corridoio, teatro del misfatto, fu murato e riaperto solo secoli più tardi.

Anche se studi più recenti hanno dato piena luce al fatto, rimarrà sempre nell’immaginario popolare la storia di un amore e del suo tragico epilogo. Pubblicazioni recenti, accennano a documenti dai quali risulta che il Viceré di Sicilia, informa la Corte di Spagna che "…il Barone Cesare Lanza aveva ucciso la figlia Laura ed il suo amante, Ludovico Vernagallo". Questo documento costituisce un elemento sicuro che avvalora l'atto di morte di Caterina La Grua, Baronessa di Carini, redatto il 4 dicembre 1563 e che si conserva nell'archivio della Chiesa Madre.
Ecco il Memoriale presentato da Cesare Lanza al Re di Spagna per discolparsi del delitto della figlia Laura :

Sacra Catholica Real Maestà,
don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati.

Don Cesare Lanza conte di Mussomeli


*********


Il fatto è narrato in un poemetto anonimo, contemporaneo ai fatti, pervenutoci solo in frammenti:







Chiangi Palermu, chiangi Siracusa
a Carini c'è lu luttu in ogni casa
cu la purtà 'sta nova dulurusa
mai paci pozza aviri a la so casa.
La megliu stidda ca rideva 'n cielu
arma senza cappottu e senza velu
la megliu stidda di li Serafini
povira barunissa di Carini

Sciumi muntagni ed arbuli chiangiti
suli cu luna cchiù nun affacciati
la bella barunissa chi pirditi
vi li dava li rai 'nnamurati
Acidduzzi di l'aria chi vuliti
la vostra gioia inutili circati
varcuzzi c'a sti praj lenti viniti
li viliddi spingitili alluttati
Ed alluttati cu li lutti scuri
ca morsi la signura di l'amuri
la megliu stidda di li Serafini
povira barunissa di Carini



Questi frammenti hanno ispirato Giovanni Verga per la Storia del castello di Trezza,il Salamone Marino per i suoi poemetti e, non per ultimo, Vincenzo Bellini che musicò la famosa Fenesta ca' lucive ispirata all'amaro caso :


FENESTA CHE LUCIVE

Fenesta che lucive e mo nun luce,
Sign'e' ca nenna mia stace malata?
S'affaccia la sorella e che me dice?
"Nennella toia e' morta e
s' 'e atterrata."
"Chiagneva sempre ca durmeva sola;"
"mo dorme co li muorte accompagnata!"

- Cara sorella mia, che me dicite?
Cara sorella mia che me contate?
"Guarde 'ncielo si nun me credire.,"
"Purzi' li stelle stanno appassiunate."
"E' morta nenna vosta, ah, si chiagnite,
"Ca quanto v'aggio ditto e' beritate!

"Jate a la Chiesia e la vedite pure,
"Aprite lo tavuto e che trovate ?
"Da chella vocca che n'asceano sciure
"Mo n'esceno li vierme, oh che piatate!
"Zi' Parrocchiano mio, tienece cure,
"Le llampe sempre tienece allummate!".

Ah! nenna mia, si' morta, puvurella!
Chill'uocchie chiuse nun l'arape maje!
Ma ancora all'uocchie mieje tu para bella
Ca sempe t'aggio amata e mmo cchiu' assaje!
Potesse a lo mmacaro mori' priesto
E m'atterrasse a lato a tte, nennella!

Addio, fenesta; restate nzerrata,
Ca nenna mia mo nun se po' affacciare;
Io cchiu' nun passarraggio da sta strata;
Vaco a lo camposanto a passiare
Nzino a lo jurno che la morte 'ngrata
Mme face nenna mia ire a truvare.





********







Nel dicembre 1975 un validissimo sceneggiato televisivo
(Regia di Daniele D'Anza ),in quattro puntate,che ai tempi tenne incollati ai teleschermi milioni di spettatori, ci racconta l'infelice storia d'amore tra Ugo Pagliai e Janet Agren.
Non più ambientata nel '500, la storia viene recuperata in un'ambientazione suggestiva, assolutamente inventata, di epoca napoleonica (i fatti narrati si svolgono in Sicilia nel 1812).
Bellissima la sigla, un valzer di schietto sapore siculo: "Povera barunissa di Carini", cantata da Gigi Proietti che nei titoli di testa viene chiamato Luigi Proietti.


25/08/2004 16:23
 
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